Sono tanti i motivi per cui We Are We Who Are è una prima volta per Luca Guadagnino. Per la prima volta si è misurato con la serialità televisiva, ha lavorato con due sceneggiatori diversi rispetto al passato, con un produttore nuovo. E la sua è una serie che parla di personaggi alle prese con prime volte: “Ogni impresa che fai – dice il regista – ti cambia. Alla fine dei novantaquattro giorni di riprese, abbiamo capito di aver sperimentato una forma di gioia collettiva”.

Sarà disponibile su Sky e NOW TV dal 9 ottobre, We Are Who We Are, nuova serie Sky Original, una produzione The Apartment - Wildside, parte di Fremantle, con Small Forward. Ambientata nel 2016, è una storia di formazione con protagonisti due adolescenti americani che, insieme alle loro famiglie composte da militari e civili, vivono in una base militare americana in Veneto, vicino Chioggia.

Per Nicola Maccanico, Executive Vice President Programming Sky Italia, si tratta di un prodotto d’autore che si inserisce perfettamente nella proposta del network: “Una pay premium deve guardare alla qualità narrativa, alla grammatica della narrazione, alla capacità di costruire emozioni e offrire nuove idee, libertà, contesti alternativi. Sky ha lanciato grandi talenti italiani in tutto il mondo: ora sperimenta il gusto di lavorare con italiani già affermati all’estero”.

Tom Mercier (Jonathan) - Photo by Yannis Drakoulidis

Un progetto che arriva da lontano, come rivela il produttore Lorenzo Mieli: “L’idea è nata dopo aver rivisto Boys Don’t Cry, il film che valse il primo Oscar a Hillary Swank. Sentivo che che c’era qualcosa di importante nel racconto di una adolescente che si trasformava in maschio. Il cuore dell’adolescenza sta nell’esplosione di una dimensione che prima non si conosceva: la scoperta del desiderio. Luca e gli altri sceneggiatori hanno fatto esplodere questo desiderio che pervade non solo i ragazzi ma anche gli adulti”.

Guadagnino ha scritto la sceneggiatura delle otto puntate con Paolo Giordano (Premio Strega per La solitudine dei numeri primi) e Francesca Manieri (autrice di punta del nuovo cinema italiano, da Veloce come il vento a Smetto quando voglio fino a Il primo re). “È stato un atto di tracotanza – riflette Giordano – osare di scrivere una serie che pensava a un’America in Italia. La hybris dell’adolescenza si respira in tutti i personaggi”.

“Strehler diceva che se non ci si innamora mentre si fa uno spettacolo, quello spettacolo va buttato via” spiega Manieri, parlando della sua esperienza come una “serie di innamoramenti”: “Per la scrittura di Paolo, per Lorenzo che ha creduto ciecamente nel progetto, per la visione di Luca nella costruzione di un linguaggio comune. Luca ci ha detto: ‘Non avete visto Ai nostri amori di Maurice Pialat? Ecco, quelle sono le mie note di regia’”.

Jack Dylan Grazer interpreta Fraser, un quattordicenne newyorchese arrivato nella base per seguire la madre colonnello e ancora estremamente confuso sul suo orientamento sessuale. Il regista di Io sono l'amoreChiamami col tuo nome lo considera “uno dei più grandi attori viventi. Ha una saggezza tale che lo porta a riflettere come se fosse un ottantenne alla fine della vita”. “Luca mi ha concesso tantissima libertà – dice l’attore, classe 2003 – nel cercare di capire chi fosse il personaggio. Nessuno può conoscerlo meglio di noi che ne vestiamo i panni e interagiamo con gli altri. Ho girato l’Italia con la stessa strafottenza di Fraser: piccoli aspetti che mi hanno aiutato in processo di immersione e ad acquisire un senso di familiarità con un territorio che è americano ma anche no, nel corso di un periodo in cui l’infanzia svanisce e si scende a patti con una nuova vita”.

Chloë Sevigny (Sarah) - Photo by Yannis Drakoulidis

Jordan Kristine Seamón ha convinto Guadagnino con un provino in cui recitava un testo di David Matet: “Ne ha colto l’intelligenza – tesse le sue lodi il regista – e poi ha un viso enigmatico e denso di tante possibili emozioni”. Tutti i giovani membri del cast – scelti con Carmen Cuba, Emmy Award come miglior casting director per Stranger Things – evidenziano quanto il lavoro del regista fosse sempre rivolto alla ricerca dell’autenticità. “Aveva grande interesse che ognuno di noi fosse a proprio agio” dice Francesca Scorsese, figlia di Martin.

“Sono due miei antichi amori” rivela Guadagnino parlando di Alice Braga e Chloë Sevigny, che interpretano le madri di Fraser. “I giovani – dice Braga – sono il nostro futuro, è molto importante ritrarli con onestà nel loro percorso per diventare adulti e comprendere meglio il mondo”. Per calarsi nel ruolo del colonnello, Sevigny racconta di aver potuto contare sulla consulenza di un militare che “ci ha dato informazioni chiave inestimabili”.

“È stato difficile capire le tradizioni militari – le fa eco Tom Mercier, nel ruolo dell’assistente del colonnello – i motivi per cui il mio personaggio, alla ricerca della propria identità, sceglie di vivere in una scacchiera e al contempo avere un rapporto di un certo tipo con un ragazzo. È stato un po’ un mistero aver trovato la sua purezza”.

A Bagnoli di Sopra, tra Padova e Chioggia, è stata trovata la base militare che fa da teatro alla storia. “Un luogo – spiega Guadagnino – che conferma il mio bisogno di dominare piccole porzioni di mondo con l’obiettivo di trasmettere un messaggio universale, in questo caso rispetto all’identità americana. La base militare è un posto piccolo, mi interessava esplorare il livello di disciplina mentale e la risposta o trasgressione dei comandi. È una parte per il tutto, è l’America: una navicella che si poggia sul terreno veneto”.

Alice Braga (Maggie) - Photo by Yannis Drakoulidis

Come mai la scelta di collocare la storia nel 2016? “Se vogliamo parlare di contemporaneità - risponde il regista - abbiamo bisogno di una distanza minima per controllare la narrazione. In molti film contemporanei non c’è alcun legame con il quotidiano, sono un’astrazione assoluta. Il semestre che portò all’elezione di Donald Trump ci permetteva di far confrontare ciascun personaggio con gli effetti dei tempi che cambiano”.

Selezionato per la Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2020, We Are Who We Are è stato proiettato in un’unica soluzione durante l’ultimo Festival internazionale del cinema di San Sebastián. “Con il montatore Marco Costa, che ha appena 26 anni, ci sembrava che funzionasse la scansione seriale in otto episodi, per quanto non ortodossa – riflette Guadagnino – ma quando l’abbiamo visto per 8 ore consecutive ci siamo resi conto che è un vero e proprio film. Un film ibrido”.

Nota a margine: sì, c’è una fugace apparizione di Timothée Chalamet, in visita sul set. E non è l’unico cammeo nascosto.