"Ho girato questo film per il mondo intero, eccetto l'Italia". Parola, e immagine, del 58enne regista italo-americano Abel Ferrara, che porta agli Orizzonti della Mostra di Venezia la docu-fiction Napoli Napoli Napoli, terza prova tricolore dopo Mary e Go Go Tales.
Prodotto da Massimo Cortesi, Gaetano Di Vaio, Pietro Pizzimento e Fabio Gargano, con Minerva e PFA Films,  è nato dalla collaborazione artistica tra Di Vaio, ex microcriminale napoletano che ha fondato l'associazione di recupero socio-culturale Figli del Bronx, e il regista nato nel Bronx newyorkese: lavorazione durata due anni, Napoli Napoli Napoli è scritto dallo stesso Ferrara con Di Vaio, Maurizio Braucci e Peppe Lanzetta (anche attore), autori delle tre storie di fiction che si intrecciano nel tessuto documentario, il montaggio è dell'abituale Fabio Nunziata, mentre nel cast figurano Fabio Gargano, Shannon Leigh, Luca Lionello ed Ernesto Mahieux.
"Non è un film convenzionale, ma il racconto di una città complessa, dalle mille facce" - dice Ferrara, che partito da un documentario sul carcere femminile di Pozzuoli destinato a un film collettivo si è ritrovato ad "ascoltare queste voci, e farle crescere, tra infiniti punti di vista: quelli di Napoli, che non è riducibile a una sola definizione, tutt'altro".
Ma il regista tiene a sottolineare la mediazione personale: "Nasce dal mio cuore, dal mio sangue. Si chiama Napoli Napoli Napoli, ma potrebbe essere New York New York New York o Detroit Detroit Detroit: lo schermo è lo specchio della mia anima, le zone oscure sono le mie".
Zone oscure che nella finzione contemplano incesto, stupro, criminalità organizzata e omicidio, sul basso continuo documentaristico (le testimonianze delle detenute, in cui trova spazio anche uno spontaneo "tributo" a Gomorra) e archivistico, che rintraccia lo sfacelo sociale odierno negli scempi urbanistici del passato. Il tutto sorretto, "sporcato" e vissuto dall'arte ferrariana, che nella fiction come nel cinema del reale non dimentica mai di farsi vita.