Intervistato da Cinematografo.it per il lancio del suo nuovo film americano - Quello che so sull'amore, una commedia romantica con Gerard Butler, Jessica Biel, Catherine Zeta-Jones, Uma Thurman e Dennis Quaid, dal 10 gennaio in sala con Medusa - Gabriele Muccino ha parlato del rapporto con Hollywood, espresso il suo parere sull'Italia (non solo quella del cinema), stigmatizzato certe pecche della critica, tentato un bilancio personale, abbozzato uno scorcio di futuro (il suo). Quello che so sull'amore rappresenta per lui "una vacanza dopo tanti drammi sentimentali, la voglia di tornare a girare una commedia" (ipse dixit). E' la storia di un ex calciatore che ha finito per sacrificare sull'altare della fama gli affetti, e ora vuole recuperare. Missione nient'affatto semplice, vista la diffidenza di ex moglie e figlio e le avances di un plotone di mamme assatanate, che fanno a gara per sedurlo. "Non mancano temi più seri, alcuni ricorrenti nella mia filmografia, come la maturazione di un adulto bambino e il rapporto padre-figlio", dice Muccino. Che, ribadiamo, si racconta a tutto campo. Ma non intero. Perché su altre testate, in merito alle stesse questioni, sempre Muccino, rilasciava dichiarazioni agli antipodi. Sembra quasi che i Gabriele Muccino a parlare siano due: uno entusiasta della sua nuova esperienza negli Stati Uniti (lo chiameremo Muccino #1, è quello che ha risposto a noi), l'altro decisamente più perplesso (Muccino #2). D'altra parte, la verità è la somma delle sue sfaccettature e, ammesso che ne esista una e una sola, difficilmente sarà coerente. Ecco perché abbiamo deciso di far rispondere entrambi.

Gabriele, con Quello che so sull'amore, si ritorna alla Fabbrica dei Sogni.
Muccino #1: Ho colto al volo l'occasione che Gerard (Butler, ndr) mi ha offerto proponendomi questa commedia. Io e lui abbiamo lo stesso agente e spero in futuro di lavorare nuovamente con lui. Potrei fare mille film in Italia se solo volessi, ma a Hollywood è un'altra cosa. A causa della forte competizione, sei messo sotto pressione e quando un artista lavora sotto pressione è costretto a dare il meglio. Mi piacciono le sfide.
Muccino #2: Non ho mai rinunciato all'idea di portare qualcosa dell'America da noi e viceversa. Ormai sono con un piede qui e uno dall'altra parte dell'oceano. Con Will Smith però era una passeggiata, mi lasciava libero di girare come volevo. Qui ho capito che cos'è davvero Hollywood, un'industria spietata dove la gente racconta balle dalla mattina alla sera. Contano solo i grafici, i test, il marketing, il profitto.

Un tempo venivi definito il più americano dei registi italiani? Oggi si può dire che sei il più italiano dei registi americani?
Muccino #1: Forse sì, ma starei attento alle etichette soprattutto quando lavori in un paese come questo, nato dall'incrocio di tante culture e dove la provenienza conta fino a un certo punto.
Muccino #2: Qui i generi sono ferrei, si applicano protocolli. Il nostro modo di concepire la commedia è oltre le colonne d'Ercole, è come pretendere d'imporre il divieto delle armi in Louisiana. Se ti impacchettano il film "commedia sentimentale" si aspettano che accadano certe cose, sempre le stesse. Monicelli, Risi, Scola per la commedia americana sono arte d'avanguardia. Ho capito perché Woody Allen gira solo in Europa.

Eppure Hollywood l'hai sedotta.
Muccino #1: Hollywood è sempre molto aperta a nuovi stimoli e talenti.
Muccino #2: Il talento lo riconosce e lo insegue, ma come il leone insegue la gazzella, per sbranarla. Uno s'immagina che arrivato a questo punto, il difficile sia dirigere Butler o Uma Thurman o Jessica Biel o Dennis Quaid, e invece quello è stato un gioco. La fatica è fuori dal set, nell'arena dello show business. Non c'è rispetto per l'intelligenza del pubblico.

Qual è il tuo rapporto con la critica americana (confessiamo: avevamo già letto le prime stroncature d'oltreoceano al suo film, ndr)
Muccino #1: Da quando sto in America è decisamente migliorato. Intendiamoci, anche qui ricevo recensioni positive e stroncature come accadeva in Italia, ma almeno queste le capisco di più e mi danno buoni spunti per migliorarmi. Cosa che prima non mi accadeva.
Muccino #2: (.....)
 Che cosa manca invece al cinema italiano?
Muccino #1: Il rispetto del pubblico. Dopo aver smantellato una tradizione florida, quella che arriva fino a Sergio leone per intenderci e che era capace di coniugare autorialità e spettacolo, il nostro cinema ha progressivamente perduto appeal nei confronti del grande pubblico. Tra la fine degli anni '70 e '80 si è imposto il morettismo che ha sfasciato il senso estetico dei nostri film, puntando il dito contro le belle confezioni. Non voglio vantarmi, ma se abbiamo deciso finalmente d'invertire la rotta è stato anche per merito di un film come L'ultimo bacio che nel 2000 ha riavvicinato gli spettatori al cinema italiano. Il problema è che dopo ci siamo infilati nell'imbuto della commedia, come se fosse la panacea di tutti i mali. Ma anche la commedia ben presto si è limitata a ripetere sempre le stesse formule narrative e a diventare stancante.
Muccino #2: La voglia di farlo davvero. Abbiamo ancora talento. Manca forse la scrittura, la mia generazione non ha avuto Age e Scarpelli. A parte questo, rimaniamo una società chiusa, diffidente del mondo. Il berlusconismo è stato questo, un'anomalia ostinatamente provinciale mascherata di modernismo.

Niente di buono dunque all'orizzonte?
Muccino #1: Non dico questo. Mi piacciono molto ad esempio i film di Sorrentino, ma restano comunque opere di nicchia. Il pubblico preferisce guardare quelli di Moccia. I problemi sono tanti e si intrecciano. In Italia mancano professionalità e capacità di puntare su generi diversi. Da questo punto di vista la Francia sta molto più avanti di noi. Ma è tutta la cultura ad attraversare un pessimo momento. Manca una cultura della cultura. Puoi anche fare buoni film, ma se poi non c'è un pubblico che li va a vedere? A me è successo con Ricordati di me, secondo me tra i miei film migliori. Ma non venne apprezzato, forse nemmeno capito.
Muccino #2: Nessun cinema ha prodotto tanti capolavori concentrati nel tempo come il cinema italiano fra il dopoguerra e gli anni Sessanta. Sono anche storie attuali? No, sono più che attuali, sono avanti. Per me guardare ai nostri classici non significa guardare al passato, ma al futuro.

La conversazione con Gabriele Muccino finisce qui. Aggiungiamo solo che oltre alla pessima accoglienza critica ricevuta negli Stati Uniti, Quello che so sull'amore non è stato amato nemmeno dagli spettatori, che l'hanno punito al box office. L'unica consolazione è che la stampa americana attribuisce questo mezzo fiasco alla proverbiale incapacità di Gerard Butler di guadagnarsi le simpatie del grande pubblico. Il che, a volerla vedere diversamente, attesta anche la scarsa considerazione degli yankee verso il nostro emigrato. A cui vanno comunque i nostri migliori auguri per il destino del suo film in Italia. Non è una delle sue migliori prove, intendiamoci, ma non è nemmeno così brutto come lo dipingono. Certo con il suo talento Muccino potrebbe fare altro, e meglio. Una maggiore coerenza nella scelta dei progetti - come in quella delle parole - non guasterebbe.