“Niente happy ending, il finale è a doppio senso: nessuno decide di fermare la violenza, la porta rimane chiusa, perché è la brutta storia che accade accanto a noi e nessuno vuole vedere”. Così il regista greco Alexandros Avranas presenta la sua opera seconda in Concorso a Venezia 70: Miss Violence, il primo film scandalo della Mostra. Violenza familiare, suicidio, pedofilia, incesto, i temi scottanti sono tanti, e tutti racchiusi in una famiglia che sta festeggiando l'11° compleanno di Angeliki, quando la ragazzina si butta dal balcone. Suicidio, appunto, ma perché la famiglia parla d'incidente e tira avanti come se nulla fosse accaduto? Il segreto va ricercato negli stessi componenti: il padre (Themis Panou), la madre (Reni Pittaki), la giovane Eleni (Eleni Roussinou), l'adolescente Myrto, i piccoli Alkmini e Filippos.
“Non è una guerra tra uomini e donne, perché il potere non ha sesso, sebbene la violenza sia insegnata dal padre nella società patriarcale”, dice Avranas, classe '77, che di questa storia, ispirata a veri eventi accaduti in Germania (“Erano anche peggio, abbiamo fatto tante ricerche”), sottolinea l'universalità: “Potrebbe accadere in Europa, ovunque”. Con i piccoli attori, il regista è stato “molto onesto e aperto: non ho nascosto loro nulla, abbiamo letto insieme la sceneggiatura con i loro genitori, che ci hanno dato grande supporto durante le riprese. Questi bambini hanno dato voce ad altri, e non solo per pederastia e incesto”.
Avranas non accoglie letture metaforiche sul rapporto tra l'Unione Europea e la Grecia in crisi: “Gli ispettori dei Servizi Sociali non sono quelli dell'UE, semplicemente rappresentano un ente statale che preferisce non vedere e rimanere in ruoli standardizzati”. Viceversa, parla di “Sindrome di Stoccolma, dipendenza tra vittima e carnefice” e stigmatizza “una società che non ha spazi per evolversi né veri rivoluzionari”. Themis Panou, che interpreta il pater familias orco e dispotico, evidenzia il “tentativo di riconoscere in me stesso quegli attimi di piacere che si provano esercitando il potere: ho costruito lì il mio personaggio, pensando anche a Edipo, e mi sono trovato a sottostare la potere del signor Avranas”, mentre la Roussinou aggiunge che “vedere qualcuno che esercita il potere in ogni dettaglio ti fa sentire violentata” e la Pittaki rimanda “all'archetipo della tragedia”.