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Jennifer Lopez superstar alla Berlinale. In concorso con Bordertown, l'attrice e cantante monopolizza l'attenzione, riduce al silenzio il compagno di set Antonio Banderas e trasforma la conferenza stampa del film in un appello umanitario. La forza è tutta nello spunto di denuncia del dramma di Gregory Nava, in Italia dal prossimo 23 marzo: il taciuto massacro di Ciudad Juarez, piccolo centro al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1993 a oggi centinaia di donne sono state violentate e uccise, con la complicità e il silenzio delle autorità. "Non sapevo nulla di questa barbarie - dice la Lopez -. Appena ne sono venuta a conoscenza, mi sono però subito appassionata. Questo film mi è sembrato il modo migliore per dare il mio contributo e riportare l'attenzione su quanto ancora accade laggiù".
Alla Lopez la storia riserva il ruolo di una rampante giornalista del "Chicago Chronicles", inviata contro la sua volontà a indagare sulle misteriose scomparse di Ciudad Juarez. A darle coraggio è però subito l'amico di un tempo Alfonso Diaz, il direttore di un quotidiano locale interpretato da Banderas. La situazione che i due si trovano ad affrontare appare drammatica: il paese è in preda al terrore a all'isteria. Nella totale indifferenza delle istituzioni, la popolazione indigena arriva a imputare le ricorrenti scomparse al diavolo. La polizia fa in tutto ciò ostruzionismo e, mentre il governo insabbia il caso, anche la giustizia depista la caccia ai veri colpevoli.
"Durante i sopralluoghi - racconta la produttrice Barbara Martinez, che accompagna regista e cast - siamo stati costretti a girare con una seconda unità. A noi stessi erano arrivate pesanti minacce, per dissuaderci dal girare il film". In stretto rapporto col massacro sarebbe in base alla ricostruzione del film l'ampia diffusione delle "maquilladoras": gigantesche fabbriche, cresciute a dismisura lungo il confine con gli Stati Uniti, in cui le multinazionali sfruttano le donne, per lucrare sulla manodopera a basso costo: "A introdurmi in questo mondo è stata Barbara Martinez - racconta ancora la Lopez -. Mi ha portato nelle 'maquilladoras', fatto conoscere le ragazze che ci lavorano e illustrato le loro condizioni di vita". Un'esperienza toccante e drammatica, dice l'attrice, però agli antipodi rispetto a quello della sua griffe di moda: "La mia avventura in questo settore è iniziata cinque anni fa, proprio con l'intento di garantire il pieno rispetto dei diritti umani". L'esperienza di Bordertown, assicura, le ha però regalato una prospettiva nuova: "Girare questo film ed entrare in contatto con questa realtà ha completamente cambiato il mio modo di vedere le cose. Quello che adesso farò è continuare a promuoverlo, per dare la massima visibilità al problema".
Ad aggiungere drammaticità al racconto è la difficile stima delle vittime. Le 400 ufficialmente riconosciute delle autorità potrebbero rispondere a neanche un decimo della realtà. "Noi stessi abbiamo avuto enormi difficoltà - racconta Nava -, perché le cifre cambiavano a ritmi vertiginosi durante le riprese del film". Il contributo più toccante all'incontro viene però da Norma Andrade. Madre di una delle vittime, la donna è oggi attivamente impegnata perché il massacro cessi una volta per tutte: "Molti di quelli che sostengono questa lotta sono stati minacciati e aggrediti. La scuola dove insegno è stata distrutta e io stessa ho scattato diverse foto e raccolto le prove di questa violenza". L'impegno di Norma e della sua associazione ha già portato dei frutti, ma il traguardo è ancora lontano: "Abbiamo raggiunto l'istituzione di una commissione d'indagine, ma il governo messicano ha poi bloccato i lavori per carenza di fondi. L'unica strada da battere è quella della pressione internazionale e della stampa: i giornali non devono scriverne soltanto oggi, ma continuare a mantenere alto il livello d'attenzione".