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“L'informatore medico protagonista è vittima e carnefice di un ingranaggio: comparaggio e corruzione in ambito farmaceutico sono vicinissimi a noi, perché parliamo del medico di fiducia, quello che ci prescrive il farmaco, di cui forse non abbiamo bisogno…”.
Così il regista Antonio Morabito presenta Il venditore di medicine, fuori concorso al Festival di Roma, interpretato da Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Evita Ciri, Ignazio Oliva e Marco Travaglio, prodotto da Amedeo Pagani ed Elena Pedrazzoli, a gennaio 2014 nelle nostre sale con Luce Cinecittà. Protagonista, appunto, Bruno (Santamaria), informatore medico in crisi: la sua azienda, la Zafer, sta licenziando, per non perdere il posto di lavoro, deve corrompere medici, ingannare colleghi, e non solo. La moglie insegnante vuole un figlio e non sospetta nulla, gli amici nemmeno, ma la capoarea (Ferrari) lo pressa e Bruno deve giocarsi il tutto per tutto, provando a corrompere un primario di oncologia (Travaglio)…“Vengo da una famiglia di medici, ho sempre visto il farmaco come qualcosa di etico e regolato, ma per questo film mi sono interessato personalmente alle varie fasi di costruzione del farmaco, conosciuto una marea di informatori, medici: non si tratta di poche mele marce, è l'andazzo generale”, dice Morabito, mentre Santamaria parla di un “sistema visto attraverso l'ultima ruota del carro, Bruno, che per me non solo rappresenta un informatore scientifico, ma la classe dell'uomo con la valigetta, il rampante che cerca raggiungere un certo status. Un meccanismo perverso in cui il carnefice è anche vittima: per sostenere il carico di lavoro e la pressione è costretto a drogarsi con cocaina legale, anfetamina, e attraverso i suoi strumenti distrugge anche ciò che ama, avvelena la moglie…”.
Isabella Ferrari, viceversa, parla di un “film di denuncia, che socialmente e politicamente ha senso. Non ho avuto dubbi, ma quando ho letto il copione la mia capoarea mi sembrava terribilmente forte, non reale, eppure ne ho incontrate due e questa durezza è realmente possibile. Già, io volevo fare la dottoressa, mi curo omeopaticamente da sempre, non amo i farmaci, la mia preoccupazione era capire se questa roba fosse reale, purtroppo, lo è”, mentre Ignazio Oliva, che interpreta un medico retto, aggiunge: “Io rappresento la parte etica, il ruolo è stato facile, del resto, tipi di medici così esistono, si rifiutano di stare al gioco e rischiano il lavoro e la vita”.Il produttore Pagani stigmatizza un “cinema italiano preda di commedie banali, che viceversa dovrebbe rappresentare qualcosa di più importante: questa è una storia di denuncia e verifica di alcune corruzioni evidenti che passano come normalità, e noi siamo stati leggeri rispetto a una realtà fatta di polmoni squartati, bambini fatti a pezzi, farmaci consapevolmente conosciuti come dannosi… Ci siamo abituati al peggio, passivamente, ma il tema della salute e la metafora della situazione politica italiana andavano raccontati”. Se Il venditore di medicine si ispira a Morte di un commesso viaggiatore, prosegue Pagani, “non c'è stato alcun coraggio nel realizzarlo, ma necessità: tutto quel che c'è nel film è assolutamente vero, non c'è esagerazione, ma diminuzione dell'evidenza”.
E il mondo farmaceutico ha anche protestato, ricorda Morabito, con lettere d'insulti da parte di medici e informatori, mentre a tre giorni dal primo ciak il direttore sanitario di un ospedale di Bari ha revocato il permesso di girare, analogamente a tre medici, che lì lavorano, che hanno fatto dietrofront con i loro studi. Se Pagani avrebbe voluto “portare nel film episodi agghiaccianti realmente avvenuti”, il regista – prosegue il produttore - ha preferito “rimanere attaccato al personaggio, Bruno, è ha vinto lui”. Ultima battuta sul caso Stamina: “Non capisco perché la ricerca venga così frenata”, dice Morabito, mentre per Pagani “Stamina meriterebbe un film”.