Alla Festa del Cinema di Roma è il giorno di Francesco, il documentario sul pontefice diretto dal regista Evgeny Afineevsky, che domani riceverà il Premio Kinéo Movie for Humanity presso i Giardini Vaticani. Candidato all’Oscar per Winter on Fire e all’Emmy per Cries from Syria, Afineevsky ha presentato il film insieme a Juan Carlos Cruz, vittima degli abusi sessuali del sacerdote cileno Fernando Karadima.

All’interno di una visione organica, Francesco affronta moltissimi temi, come spiega il regista: “Per me è sempre importante avere una storia ‘globale’, al pari di quanto era già accaduto nei miei precedenti, dedicati alla rivoluzione ucraina e alla questione siriana. L’esperienza in Siria, in particolare, ha creato in me un trauma che mi ha spinto a cercare speranza per l’umanità. Papa Francesco si preoccupa per argomenti che toccano tutti noi: i rifugiati, gli abusi, il dialogo interreligioso. All’inizio del 2018, quando ho cominciato a lavorare sul film, tutti questi temi si sono uniti”.

Come si è sviluppata la ricerca? “Ho cercato di seguire i suoi passi – continua Afineevsky – e di incontrare le persone alle quali ha toccato la mente e il cuore. Il film non parla di lui ma dei problemi di tutto il mondo: perciò abbiamo voluto le testimonianze dei rifugiati e degli abusati. Volevamo ascoltare le persone e portare la loro voce al Santo Padre. Sono stati tre anni di lavoro, il film presenta un terzo del materiale raccolto. Sono rimasto toccato da una persona che è il leader della Chiesa ma anche un essere umano che dà l’esempio a tutti noi”.

“Evugeny ha aver dato voce a persone che non l’avevano – interviene Cruz – e ha fatto un lavoro mai visto prima. A volte penso che sono diventato famoso per aver raccontato degli abusi che ho subito: lo farei altre mille volte. Coloro che hanno subito abusi devono capire che meritano di condurre una vita felice e non devono convivere con altra sofferenza”.

Tra Cruz e Francesco c’è un rapporto molto stretto: “Quando nel 2018 – svela Cruz – ha scritto la lettera in cui riconosceva il grande errore fatto nel considerare il nostro caso una bugia, siamo diventati molto amici. Ho trovato in lui il padre che ho perduto a 15 anni: mi ha sollevato dal luogo peggiore in cui ci si possa trovare. Ci parliamo spesso e abbiamo fatto tante cose per bloccare la sofferenza di tante altre persone. Grazie a questo documentario, le persone potranno vedere che uomo è davvero il papa e quello che sta facendo per quelli come me. Perché la storia non finisce con me e il regista ha dimostrato che c’è molto ancora da fare: non avremo pace finché non avrà giustizia l’ultima vittima”.

il regista Evgeny Afineevsky

“Da subito – continua Afineevsky – Francesco mi ha chiesto di non fare un’altra biografia, voleva che vedessi il suo ruolo in un quadro più globale. È l’uomo più a favore della vita che c’è in circolazione, si preoccupa delle sorti dell’umanità senza mettere etichette. Chi usa l’espressione ‘pro life’ spesso non ne capisce il vero significato: lui è un uomo d’azione in prima linea per la vita. La sua lezione è questa: non è importante in cosa si crede, ma avere buon cuore e fare cose buone”.

L’impossibilità di viaggiare pone dei limiti alla diffusione del suo messaggio? Cruz non vede in questo un ostacolo: “L’enciclica Fratelli tutti – riflette – è il modo con cui parla di come dovrebbe essere il mondo dopo il Covid: ci dice che non possiamo uscirne come eravamo prima, con gli egoismi, le diseguaglianze, i muri che intrappolano. È un uomo che soffre e agisce, prende seriamente le cose: non viaggia ma le sue parole volano da Roma verso tutto il mondo”.

“Quando, a proposito degli omosessuali, dice ‘Chi sono io per giudicare?’ – continua Cruz – penso alle parole che disse un cardinale cileno per smontare la mia storia: essendo gay, sosteneva, forse gli era piaciuto avere un rapporto con quel prete, quindi non è una vittima. Un orrore. Quando Francesco si è scusato e abbiamo parlato dell’essere gay, mi ha detto: che tu sia gay non importa, se Dio ti ha fatto gay vuol dire che ti ama, dunque la Chiesa ti ama. Quest'uomo non vivrà per sempre, è naturale, ma vivrà nel cuore di molte generazioni”

Conclude il regista: “Francesco non ha mai voluto essere davanti alla macchina da presa. Da gesuita, per lui è importante agire. Questo film continuerà la sua missione”.