La storica visita di Papa Francesco a Lampedusa riporta al centro della geopolitica la persona, interpellando ogni coscienza sui concetti di straniero, accoglienza e dignità umana. Temi scomparsi dalle agende di capi di stato e parlamenti (e dalle nostre), ma sui quali il cinema non ha mai smesso d'interrogarsi.
Moltissimi i film che in anni recenti si sono confrontati con il problema dell'immigrazione tenendo conto delle sue diverse declinazioni (normativa, culturale, storica, politica, etc...).
Potremmo citare titoli emblematici come Welcome di Philippe Lioret (Premio LUX del Parlamento Europeo), L'ospite inatteso di Tom McCarthy o London River di Rachid Bouchareb, operazioni nate sulla voragine dei diritti e della cultura apertasi dopo il crollo delle Torri Gemelle; come dimenticare poi le metafore e le allusioni contenute in tanta produzione di genere, da The Village di Shyamalan a District 9 di Neill Blomkamp? E che dire dell'approccio poetico e trasfigurante di un Kaurismaki (Miracolo a Le Havre), o della nettezza di sguardo dei tanti documentari che si sono occupati del tema negli ultimi anni? Solo in Italia abbiamo avuto due splendide testimonianze da Daniele Vicari (La nave dolce, sullo sbraco degli albanesi a Bari del 1991) e da Claudio Giovannesi (Fratelli d'Italia, su tre adolescenti di origine "straniera" che studiano in un liceo alla periferia di Roma).
Il campione nazionale sul tema resta però Emanuele Crialese che, dopo aver raccontato l'altrove psicologico di una donna lampedusana (Respiro) e quello geografico e culturale di Ellis Island, dove approdavano le navi cariche di disperazione e coraggio dei nostri connazionali in fuga verso l'America (Nuovomondo), ha affrontato la questione di petto in Terraferma, in cui il dramma degli sbarchi s'intreccia ai problemi di coscienza degli abitanti dell'isola, e le umane leggi del mare si oppongono a quelle di una politica sorda e cinica. Indimenticabile la scena finale (v'invitiamo a rivederla), e quella che qui vi riproponiamo: è uno dei momenti più ricchi di pathos del film e, a nostro modo di vedere il simbolo di tutte le nostre contraddizioni.