La parabola di un bambino cinese per gridare il no ad ogni oppressione. E' il ritorno in grande stile del dissidente Zhang Yuan, regista più volte censurato in patria e pluripremiato a Venezia, dove dopo il Leone d'Argento del '99, ha quest'anno ricevuto anche il Robert Bresson della Rivista del Cinematografo. Il film, in Italia dopo aver raccolto consensi all'ultimo festival di Berlino, si chiama La guerra dei fiori rossi: coproduzione internazionale fra Downtown Pictures, Rai Cinema e Istituto Luce, che lo porterà in sala dal 12 gennaio. Vera e propria colonna della storia è il sorprendente Qiang, bambino di quattro anni riottoso e perennemente imbronciato, a cui Zhang Yuan ha affiancato la figlia di sette anni e una folta schiera di piccoli e improvvisati attori. "Farli recitare - dice il regista, accompagnato dal produttore Marco Mueller - si è rivelato più semplice del previsto. La soluzione chiave è stata quella di ricreare un vero e proprio asilo, con tanto di maestre e assistenti, in cui far ambientare i bambini".
Restio alla disciplina quasi militare dell'asilo, Qiang non riesce ad andare al bagno a comando, continua a fare la pipì a letto, non risponde alle domande delle maestre. Questo suo insubordinato atteggiamento, non fa che inasprire la loro reazione. Mentre una tenta amorevolmente di aiutarlo nell'inserimento, un'altra lo perseguita rendendogli la vita impossibile. E' in questa situazione che il piccolo protagonista dà il meglio di sé, rispondendo all'autoritarismo della disciplina, con una straordinaria e disarmante mimica. "Quello che mi interessava - racconta Zhang Yuan - era soprattutto esplorare un momento dell'infanzia in cui l'animo dei bambini è ancora del tutto integro". L'ispirazione viene dal romanzo La guerra dei fiori rossi del cinese Wang Shuo, spiega, che in cinese significa "bellissimi da vedere". Proprio giocando su questo paradosso Zhang Yuan, decide invece di mostrare quei momenti che tanto rosei non sono.
I fiori rossi del titolo diventano nella storia le simboliche ricompense con cui le maestre valutano la condotta dei piccoli. Basta non lavarsi le mani o sfilarsi nel modo sbagliato un abito, per essere umiliati pubblicamente e privati del fiorellino: "Ancora oggi molti asili cinesi sono strutturati così - racconta il regista -: dei veri e propri collegi, in cui i genitori lasciano a dormire i bambini a cui non possono badare. Dalla rivoluzione sono passati tanti anni, ma disciplina e didattica sono ancora quelle che vedete nel film". La partecipazione italiana al film ha inoltre riguardato anche le musiche, affidate a Carlo Crivelli e il montaggio di Jacopo Quadri. Da ricordare, in proposito, che La guerra dei fiori rossi è il primo titolo realizzato grazie all'accordo bilaterale con la Cina siglato nel 2004.