Ogni volta che viene rappresentato Fidelio torna la questione se questo dramma in musica sia da comprendere fra le creazioni più alte del Grande di Bonn o il prodotto di una nobile intenzione non realizzata. Presentando il nuovo allestimento al Teatro dell'Opera di Roma, il M° Will Humburg, che ne è concertatore e direttore, non ha usato mezzi termini nel giudicare scadente, qui, il trattamento delle voci e alta invece la scrittura orchestrale. Purtroppo gravata dal libretto - Sonneleithner e Teitschke - piuttosto rozzo e addirittura "risibile" in certi passaggi. Considerato tuttavia che per Beethoven era esperienza nuova, se ne può ammirare la spinta ideale, soprattutto quell'esaltazione dell'amore coniugale e dell'anelito alla libertà, che sono i due pilastri della sua visione. Quando la musica ne è investita tocca vertici sublimi. Nell'intreccio Leonora si traveste da giovane Fidelio per poter avvicinare il marito Florestano nel carcere duro, e lo salva dal coltello del suo nemico Pizarro, trovando alla fine giustizia all'arrivo del Ministro Don Ferrando. Una vicenda che, attraverso i vari rimaneggiamenti di Fidelio, dopo la deludente prima uscita, raggiunge un buon equilibrio drammaturgico. Con una gemma al suo interno, la splendida ouverture Leonora n.3 che anche all'Opera, secondo tradizione consolidata, è stata inserita all'inizio del II atto. La singolarità di questa produzione romana è nell'ambientazione scenica spostata dalla Siviglia del '600 alla Francia postrivoluzionaria: così il regista e scenografo Giovanni Agostinucci ha adattato una messinscena creata anni fa da Peter Hall e non più utilizzata. Con qualche appesantimento riscattato dal luminoso quadro primaverile dell'ultima scena. Ma è l'interpretazione musicale che brilla: nella guida infiammata e precisa di Humburg alla guida dell'Orchestra dell'Opera al meglio della condizione, e un cast di cantanti di ottima levatura.