“Avevo voglia di scrivere una storia d’amore e di ambientarla nel XIII arrondissement di Parigi. Conosco bene la mia città, i suoi limiti, il fatto che sia romantica, museale, storica e non avevo voglia di rappresentarla così. Volevo essere lì ma altrove: quel quartiere e il bianco e nero si prestavano a questa ambientazione differente, a questa storia d’amore”.

Jacques Audiard presenta il suo Parigi, 13Arr. (Les Olympiades), passato in concorso al 74° Festival di Cannes, ora – dal 24 marzo – nelle nostre sale distribuito da Europictures.

Parigi, 13Arr @ Shanna Besson
Parigi, 13Arr @ Shanna Besson
Parigi, 13Arr @ Shanna Besson
Parigi, 13Arr @ Shanna Besson

Adattamento cinematografico dei racconti a fumetti di Adrian Tomine Amber Sweet e Morire in piedi, contenuti nel graphic novel Morire in piedi (2015), ed Hawaiian Getaway, contenuto in Summer Blonde (2002), Il film racconta la storia di quattro personaggi, tre ragazze e un ragazzo: Emilie (Lucie Zhang) incontra Camille (Makita Samba), a cui piace Nora (Noémie Merlant), il cui cammino si incrocia con quello di Amber (Jehnny Beth). Tre ragazze e un ragazzo danno una nuova definizione dell’amore moderno.

“Non ho la pretesa di parlare al posto dei giovani, non lo sono più da un bel pezzo, ma avevo da tempo voglia di scrivere una storia d’amore”, racconta ancora Audiard. “Il primo riferimento è stato La mia notte con Maud di Éric Rohmer: in quel film un uomo e una donna parlavano per una notte intera, di qualsiasi cosa; quando finalmente si ritrovano a dover andare a letto insieme non fanno più l’amore perché era come se l’atto si fosse già compiuto attraverso la parola. Ora invece avviene il contrario, per prima cosa si va a letto, poi in caso – ma non sempre – si parla. Esiste ancora, al giorno d’oggi, un discorso amoroso nell’epoca delle app per incontri? In questo film, forse non a caso, il discorso più intimo avviene tra due donne, attraverso il filtro di uno schermo di un computer”.

Per quanto riguarda l’aspetto estetico del film, “la scelta del bianco e nero è servita per mostrare la Parigi attuale in un altro modo: in genere si pensa che il bianco e nero sia uno standard del passato, in realtà io credo attenga di più all’era moderna. Parigi poi è una città graficamente complessa, e quel quartiere specifico (Les Olympiades, ndr), particolarmente moderno, ripreso in questo modo potrebbe benissimo dare l’idea che si trovi in una metropoli asiatica”.

Anche da questo punto di vista, dunque, a muovere le intenzioni del regista di Il profeta, Dheepan, Un sapore di ruggine e ossa e I fratelli Sisters, è stata la voglia di uno “spostamento dalle consuete logiche rappresentative di un luogo e della gente che lo popola: la globalizzazione, anche attraverso l’utilizzo delle varie app e via dicendo, fa sì che si normalizzi anche l’aspetto delle relazioni multietniche. E tutto questo doveva apparire in maniera naturale, quasi scontata oserei dire”.

Stessa naturalezza con cui Audiard affronta e mette in scena le molte scene di sesso: “Per me è impensabile inquadrare personaggi che parlano d’amore e poi evitare di filmare l’atto d’amore. Certo mi trovo un pochino a disagio con queste riprese ma questo conferma che sia una cosa giusta da fare. Poi, è ovvio, sono le sequenze più difficili da girare, un po’ come quelle di violenza, perché mentre sei lì sai che stai filmando qualcosa che non accade realmente. Per questo ho scelto di far lavorare gli attori con un coreografo e un coach, in modo che poi sul set sono riusciti con disinvoltura a fare tutto senza che io dovessi fare granché. Dovevo semplicemente rimanere a distanza”.

Parigi, 13Arr ©ShannaBesson

Tornando invece al “carattere” dei personaggi messi in scena, il regista francese confida che voleva fossero “molto chiacchieroni, narcisisti quasi al punto della sgradevolezza, convinti di essere molto intelligenti, al limite della tracotanza: in realtà sono immaturi, sostanzialmente ancora adolescenti. Adorano parlare, probabilmente perché convinti che il silenzio sia l’inizio della morte, e per questo a volte magari dicono grandi cavolate. Ma non posso farci nulla, appartengo alla vecchia scuola, per me l’intelligenza e il fascino passano attraverso la parola”.

Retaggio forse dell’eredità paterna, considerando che Michel Audiard è stato uno dei più importanti dialoghisti del cinema francese? “I dialoghi in quei film avevano un non so che di aggressivo e performativo proprio perché molto spiritosi, divertenti, ma non ricordo nella filmografia di mio padre grandi dialoghi in una storia d’amore. Quindi forse in questo caso mi sono ritrovato a colmare un vuoto…”.

Restio a chiudere un film in maniera tragica (“credo sia una scorciatoia a livello di sceneggiatura”), Audiard spiega come il finale di Parigi, 13Arr. sottolinei invece il “processo di crescita, di cambiamento dei personaggi, chiamati ad affrontare la vita attraverso un cammino nuovo”.

Parigi, 13Arr ©ShannaBesson

Già uscito in Francia, in Inghilterra, in Germania e in Svizzera, il film uscirà il 2 aprile anche negli Stati Uniti: “Mi dispiace molto non poterlo accompagnare perché sta uscendo nel mondo mentre io sono al lavoro su un nuovo progetto: una commedia musicale che girerò in Messico, con cast ancora da definire. Ho un po’ di timore perché le commedie non è che mi piacciano molto, staremo a vedere”, conclude Jacques Audiard.

Regista che, lo dimostra la sua filmografia, ogni volta accetta la sfida di misurarsi con opere dissimili e lontane dalle solite convenzioni.