La ruggine e le ossa, nel nuovo film di Jacques Audiard (passato in concorso a Cannes due anni dopo il Grand Prix ottenuto con Il profeta), liberamente ispirato alla raccolta di racconti brevi di Craig Davidson: il sapore del sangue nella bocca, dopo un colpo ricevuto, quando le labbra si spaccano nell'urto con i denti. "Colpi" che l'ex pugile e kickboxer Ali continua a dare e a ricevere dalla vita: lo stesso, inaspettato e atroce, che subisce Stephanie risvegliandosi in un letto d'ospedale.
Ali (Matthias Schoenaerts) è senza casa e senza lavoro. Con il figlioletto Sam (Armand Verdure) si trasferisce dalla sorella, che non vede da cinque anni. Anche grazie a lei, trova impiego come buttafuori in un locale notturno. Qui presta soccorso a Stephanie (Marion Cotillard), finita in una rissa. Lei è un'istruttrice di orche che, giorni dopo, subisce l'amputazione di entrambe le gambe in seguito ad un incidente in piscina.
Brutale e lirico, sporco e luminoso, carnale (il sesso, i combattimenti clandestini) e metallico (le protesi con cui Stephanie ricomincerà a camminare), impregnato di sudore, sangue, appassionato e glaciale, il film di Audiard è sovraccarico di immagini e musiche (notevole la colonna sonora curata da Desplat, con innesti di Django Django e Colin Stetson), situazioni ed emozioni. Anche per questo non raggiunge le vette del Profeta, ancora ben impresso per compattezza narrativa e intensità, ma regala momenti di cinema altissimo e conferma l'incredibile direzione degli attori da parte del regista di Sulle mie labbra: la mutilazione della Cotillard e la bestialità di Schoenaerts si sovrappongono, gli evidenti limiti fisici della prima trovano sfogo nell'incontrollabile rabbia del secondo. E tutto conduce alla riconciliazione e al perdono: quello che Stephanie concede all'animale che le ha portato via le gambe (in una delle sequenze più commoventi dell'intero film), quello della vita nei confronti di Ali, chiamato ad una seconda possibilità. Soprattutto con il figlio.