"Non giro film, ma non perché non ci abbia provato: ho scritto tante sceneggiature in questi anni, ma mi hanno impedito di portarne anche solo una sullo schermo. C'è chi fa un film ogni anno, chi uno ogni tre anni, io uno ogni dieci anni, ed è orribile: è come non poter cantare. Ma ho appena finito un nuovo script, e forse è la volta buona: credo la gireremo presto, vi porterò il film a Roma".
Tra j'accuse e speranza, è Michael Cimino, a Roma con una compilation-omaggio delle sue scene di ballo preferite: un filmato di circa un'ora con sequenze dai suoi I cancelli del cielo e Il cacciatore, e da opere di altri registi, tra cui Lo sceicco bianco, Orfeo negro, Il Gattopardo, La caduta degli dei, Swing Time e, soprattutto, Carmen Story di Carlos Saura.
Esilissimo, occhiali scuri e un'inquietante somiglianza con Michael Jackson, Cimino ha subito conquistato la platea dell'Auditorium: "John Ford ha detto che i tre soggetti più importanti per un film sono un cavallo che corre, una grande montagna, una coppia che balla: le scene che vedrete vogliono solo farvi divertire, senza alcun intento intellettuale. Se tornerete a casa "cantando sotto la pioggia", sarà la mia più garnde soddisfazione", esordisce il regista, "scortato" dai due moderatori,  Antonio Monda e Mario Sesti.
"Ho detto che avrei voluto fare il coreografo, perché è una professione che richiede di pensare in termini spaziali: analogamente, da regista voglio abbattere la parete dello schermo per afferrarvi gli occhi e gettarvi dentro la storia", prosegue Cimino dopo la proiezione, rivelando anche che "mi piacerebbe rimontare tutti i miei film, soprattutto Ore disperate. Quando, agli inizi, leggevo che John Ford non rivedeva mai le sue opere, non capivo perché, ma ora lo so: quando guardi i tuoi film vedi solo i tuoi errori, le cose che avresti potuto fare meglio, se avessi avuto più attenzione o se avessi dato di più di te stesso".
Tra serio e ilare, Cimino ricorda poi il suo incontro all'Auditorium dell'anno scorso: "Avevo parlato troppo - come per tutta la vita, del resto -  e ho perso la voce. Mi sono dovuto operare alle corde vocali, nella stessa clinica di Los Angeles dove andava Pavarotti, che con Maria Callas ha saputo rinnovare la lirica, portandola al grande pubblico".
Prima di chiudere l'incontro anticipatamente, forse proprio per la voce pericolante, un'ultima battuta, sempre sulla sua salute: "Forse avete invitato il Michael sbagliato, dovevate invitare Phelps, che di certo sarebbe arrivato prima: io sono un rottame".