Attori non protagonisti e piglio documentaristico per questo dramma intriso di realismo sociale presentato a Cannes nella sezione ACID (Association du Cinéma Indépendant pour sa Diffusion). Žaneta e David, entrambi di etnia rom e con una figlia a carico, aspirano a una vita normale, lontana dalla miseria, ma i pregiudizi razziali frappongono mille ostacoli alla piena integrazione in una società che sembra approvare e garantire una sorta di apartheid de facto. La Repubblica Ceca dipinta dal regista Petr Vaclav non sembra poi tanto differente da certa Italia contemporanea, anzi da una certa idea di Europa dai timbri populisti e xenofobi che sono specchio e spettro di una crisi antropologica prima ancora che economica. Questo Cesta Ven (traducibile come “Via d'uscita”) è un altro tassello aggiunto a quel mosaico narrativo di verghiana (e viscontiana) memoria che si dedica alla rappresentazione dei “vinti”, a dar loro quella voce che il mondo, e l'Arte “ufficiale”, tendono a voler minimizzare, quasi a giustificare. I protagonisti di questo film, Žaneta, David e tutti i poveri di spirito che li accompagnano, cercano una via d'uscita che però si rivela essere sempre sfuggente poiché essi non si muovono in linea retta, cioè dentro un percorso che progredisce, ma all'interno di un circolo apparentemente impossibile da spezzare, una via crucis che ogni volta sembra voler tornare al punto di partenza. Il rischio ideologico di fatalismo, in conclusione, c'è e si sente, ma il linguaggio scarno e sobrio fanno da valido contrappeso a un racconto, altrimenti, irrimediabilmente a tesi. Peccato solo per alcune secche di sceneggiatura senza le quali il plot avrebbe guadagnato in concisione ed efficacia.