Un'altra storia vera. Dopo Truman Capote - A Sangue freddo e L'arte di vincere (Moneyball), Bennett Miller porta sullo schermo la controversa vicenda del multimilionario John Du Pont, arrestato nel 1996 per l'omicidio di Dave Schultz, ex campione olimpico di lotta libera, fratello maggiore di Mark Schultz, anche lui lottatore iridato.
Entrambi facevano parte della "scuderia" dello stesso Du Pont, "mentore" - come lui stesso amava definirsi - di quella squadra che rappresentò gli Stati Uniti alle Olimpiadi del 1988 di Seoul. E' Foxcatcher (dal nome della tenuta di Du Pont), oggi in Concorso a Cannes e, dopo Moneyball, nuova incursione da parte di Miller in una vicenda che ruota intorno al mondo dello sport. "Ma il film - dice il regista - non vuole prendere una posizione predefinita, non è né un film politico né investigativo, si concentra invece sulle dinamiche umane, provando ad osservare la relazione tra i due fratelli e come si inserisce, tra loro, la figura di John Du Pont". Che sullo schermo trova la grande interpretazione di un irriconoscibile Steve Carell: "Il trucco è stato fondamentale per consentirmi in un certo modo di uscire da me stesso - dice l'attore, che in molti già indicano tra i papabili per i prossimi Oscar -. Ma sarebbe stato un lavoro inutile senza l'apporto del regista, che ha saputo cogliere perfettamente le sfumature dell'animo di tutti i personaggi. Avevamo una grossa responsabilità, quella di rendere il più possibile credibile ciò che stavamo raccontando". Nei panni dei due fratelli lottatori, invece, Channing Tatum (è Mark) e Mark Ruffalo (Dave): "Abbiamo passato molto tempo con la famiglia di Dave, con sua moglie, gli amici, ed è stato fondamentale per poter comprendere meglio quel mondo, anche i dettagli apparentemente più insignificanti. E' stato un approccio simile a quello del giornalismo investigativo", spiega Ruffalo. Per Tatum, invece, la cosa più importante "imparata facendo questo film è stata comprendere quanto sia fondamentale cercare la verità quando si racconta una storia". Un altro film di Miller, dopo il Capote interpretato da Philip Seymour Hoffman, in cui l'attore sembra scomparire dietro al personaggio: "Sarò grato ai miei attori per il resto della vita - dice il regista, visibilmente commosso nel ricordare Philip Seymour Hoffman - anche perché quello che si compie ogni volta è un cammino che, anche in questa circostanza, deve condurre al raggiungimento del giusto grado emotivo".