A Keira Knightley, ormai lo si è capito, piace da matti mettersi in costume: Orgoglio e pregiudizio, La duchessa, A Dangerous Method - per non parlare della saga dei Pirati dei Caraibi - ne sono una chiara dimostrazione.
Oggi torna nuovamente a infilarsi busti aderenti e gonne a campana per Joe Wright che realizza un adattamento per il grande schermo del celebre romanzo di Lev Tolstoj, Anna Karenina.
Della trama del film, che sarà nelle sale italiane a partire da febbraio 2013, inutile raccontare gli intrecci, talmente famosa è la sua protagonista, la passione amorosa di cui fu schiava e la tragica fine che le toccò.
Più interessante è invece parlare della messa in scena scelta da Wright.
Il regista londinese ha optato per un complesso meccanismo di scatole cinesi in cui i protagonisti del dramma cambiano continuamente il loro status: ora sono spettatori di una rappresentazione teatrale, ora sono attori per noi, ora lo sono per altri protagonisti del film, ora vivono le proprie frivole esistenze d'alta società.
Il teatro è il fulcro del racconto: moltissime sequenze, anche quelle che necessiterebbero di un ampio raggio d'azione come una corsa di cavalli, una passeggiata tra le vie di Mosca, un campo verde che si perde all'orizzonte, vengono ambientate tra palco, platea e quinte.
Se l'idea è di certo affascinante e porta ad attimi di pura meraviglia, alla lunga allontana lo spettatore dalla tragedia che è in atto e va a impoverire il pathos di cui il romanzo di Tolstoj era impregnato.
Non c'è tempo per commuoversi, tutto appare falso. In più la scelta di usare un unico ambiente chiuso per ambientare un'intera narrazione (come aveva fatto Lars von Trier in Dogville, lavorando però sulla sottrazione anziché sull'accumulo come fa Wright), viene a perdere di significato nel momento in cui si fa anche ricorso a scene in esterni.
Se l'idea era quella di voler ispirarsi al Baz Luhrmann di Romeo+Giulietta, proponendo una nuova lettura di un classico, non possiamo dire che l'operazione sia riuscita.
E' mancato forse un po' di coraggio in più e si ha l'impressione che il film non sappia bene che direzione prendere confuso tra un'ambientazione e una recitazione classico-teatrale, una ricerca eccessiva di un effetto “sorpresa” con cui spiazzare lo spettatore e un'anima musical che si intravede, ma che non esplode mai (tante le mezze piroette compiute dai protagonisti, le coreografie accennate dalle comparse e il tempo ritmico scandito da timbri battuti con forza e all'unisono e da falci che tagliano i prati).
Tra i protagonisti - oltre alla Knightley che sfoggia la sua solita gamma di smorfie che l'ha resa famosa (ma non sempre apprezzata) in tutto il mondo - spiccano il baffetto biondo di Aaron Johnson (Nowhere Boy e Kick-Ass) e Jude Law (nella famosa parte del marito diviso tra bontà e fesseria).