Incontro di peso quello avvenuto negli spazi di Cinecittà presso l'Hotel Excelsior al Lido. Dopo oltre vent'anni da quel 8 agosto del 1991, c'è stato il primo passaggio al Festival del ricordo importante che è La nave dolce di Daniele Vicari. L'evento “celebrato”: l'arrivo della “nave dei ventimila” al porto di Bari, dove quel numero, spicciolo più o meno, corrispondeva agli uomini, donne, bambini, vecchi (?), che, alla caduta del regime albanese di Alia, nella confusione sopravvenuta, e nel passaggio democratico non proprio “soddisfacente” succeduto nell'immediato, decisero di prendere il largo, e arrivare a quella terra promessa che pareva essere l'Italia. Ma invece...Una nave dolce, la Vlora, non solo perché conteneva montagne di zucchero, ma anche rappresentava il sogno di un'altra vita; una nave che sembra predestinata per tanti motivi a questo destino, come ci ricorda all'inizio dell'incontro Vicari, perché costruita a Genova, divenuta ammiraglia della flotta albanese, set cinematografico per molti film: dunque un simbolo per il paese, ma anche di un regime, che è stata distrutta solo pochi anni fa...
”Ho girato praticamente Diaz e La nave dolce nello stesso periodo: stavo terminando le riprese del primo mentre concludevo il secondo, per finirlo in questi ultimi mesi”, prosegue il regista. “Ci trovavamo allora in un momento molto particolare, a ridosso della caduta del Muro di Berlino, in cui la stessa Italia stava perdendo sempre più la sua connotazione storica. L'arrivo della nave Vlora è un pugno allo stomaco, ci fa vedere che moltissime delle persone degli ex paesi comunisti cercavano qualcosa di meglio: consapevoli di non poterlo avere nei loro paesi, venivano da  noi. E invece di prenderci la responsabilità di quello che stava avvenendo, il Governo italiano ha deciso di intervenire con una chiusura assoluta, mandando l'esercito”. Partita da Tirana, la Vlora viene deviata dalla prima destinazione, Brindisi, a Bari, qui palleggiati i passeggeri dal porto allo Stadio della Vittoria. “Il nostro Paese viveva un momento di profonda spaccatura, che portò a far saltare tutto l'anno successivo con Tangentopoli”, continua il regista. “Era dunque uno stato d'essere feroce per i regimi politici, manifestatosi in tutto e per tutto sugli stranieri”. E qui avviene un forte scontro istituzionale. “Il Governo centrale italiano si impone su di un democratico cristiano, il Sindaco Delfino di Bari, che era della stessa appartenenza politica del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio, del Ministro degli Interni. Dal basso la città di Bari voleva accogliere gli stranieri, invece lo Stato manda l'esercito: da lì parte un problema sociopolitico, che tuttora non è ancora risolto. Un deficit di ordine pubblico, che arriva con le sue estreme conseguenze ai fatti di Genova. Il Sindaco di Bari avrebbe voluto costruire una tendopoli per fare un'accoglienza solida, umana”. E invece, lui amico di Aldo Moro, ricevette l'attacco dell'allora Presidente della Repubblica Cossiga, che ne voleva le dimissioni. Rimase invece in carica, e dopo due anni da quelle vicende morì di infarto. E Nicola Montano - tra le voci di La nave dolce, qui presente, ispettore della Polizia del Porto di Bari, che allora aspettò l'arrivo della nave, e seguì passo passo le operazioni di arrivo, e di rimpatrio, con sguardo umano - bisbiglia ciò che a Bari si pensa da allora, e cioé che ciò che successe abbia aiutato a quella fine.
Un progetto iniziato su richiesta dell'Apulia Film Commission, di cui è ora presidente Antonella Gaeta, co-sceneggiatrice del documentario, che un anno e mezzo fa, al momento dell'assegnazione, non era ancora in carica. “Avendo capito che i fatti erano raccontati sufficientemente bene dalle immagini, abbiamo invece cercato dei testimoni, tra i passeggeri e tra gli italiani, che fossero soprattutto persone capaci di raccontare, di entrare dentro la storia e di trasmetterne le emozioni” prosegue Vicari. “Antonella e io non li abbiamo intervistati: hanno parlato a ruota libera, e così sono stati portati da quel flusso di ricordi a rivivere quei giorni”. All'incontro alcuni di coloro che sono stati scelti: oltre al citato Montano, sorprende la presenza di volti anche molto noti, come Kledi Kadiu, che fu tra coloro che vennero rimandati indietro. Gli si domanda se l'Italia è stata accogliente. “Non c'è stato quel “tocco” che ci aspettavamo...l'Italia per posizione geografica era la scelta naturale, assieme alla Grecia. Avevo fatto un'esperienza con una compagnia di danza di Mantova che era stata in Albania, e ho deciso anche per questo di tentare questa esperienza, che però non mi ha tolto la voglia di ritornare qui nel '92. Spesso chi scappa dal proprio paese è perché è in guerra, è un prigioniero politico; io allora ero quasi un ballerino del teatro dell'opera: avevo la curiosità di vedere una libertà diversa rispetto a quella che avevo assaporato fino allora. Ora c'è un effetto contrario. Ci sono tanti italiani che lavorano in Albania, nel mondo del teatro e del cinema”.
Un futuro migliore che tentò anche Eva Karafili, che vive a Bari, un'altra delle voci scelte e qui presenti: “Non ho mai dato la colpa agli italiani per quello che è successo. Mi sono messa nei loro panni: era agosto, arrivano 20.000 persone...è stato un impatto davvero enorme. È facile parlare col senno di poi, forse non c'erano altre soluzioni. Per quanto mi riguarda, so che le persone che rappresentavano l'esercito mi hanno aiutato, mi hanno lasciato andare, con mio marito. All'inizio, ci sono state persone che mi hanno dato una mano, altre che mi hanno chiuso la serranda in faccia...Forse l'Italia non aveva molte leggi allora, ora invece il problema è che ce l'ha e non sono molto chiare. Per questo critico questa situazione: c'è mia figlia che è nata in Italia, ma che non può avere subito la cittadinanza: devo invece pregare questo o quello per averla. Non è possibile.” La voce di Montano ricorda numeri più precisi, e lancia una sottile polemica: “Quelli che son stati rimandati indietro sono stati 16.600. La città di Bari aveva il desiderio di aiutare, e stare vicino in modo umano a quei 20.000. Il motto della polizia è sorvegliare sulle persone. E devo ammettere che se avessi visto il film Diaz, prima di collaborare a questo progetto, non avrei accettato...”
Ma l'Italia è incapace di gestire queste emergenze? “Fino a poco tempo fa, avrei risposto di sì” risponde Vicari; “ora dico che ci troviamo in un momento in cui il mondo sta esplodendo, in cui noi continuiamo ad attrarre, dandoci una grande responsabilità nei confronti delle persone che sono venute, e continuano a venire in Italia. Prendi l'esempio di Eva: una bambina o un bambino non hanno ancora la cittadinanza immediata, perché c'è ancora l'idea che la si prenda solo per motivi di sangue. È arrivato invece il momento di sciogliere questo nodo: chi nasce in Italia è italiano! Ma non è solo una responsabilità italiana quella dei respingimenti: è il modo in cui l'Europa ha deciso di gestire se stessa. Ho incontrato il filosofo Franco Cassano, che ha compiuto delle importanti riflessioni sul tema dell'accoglienza, sul Meridione, sul Mondo circostante: ne è venuta fuori un'intervista che metteremo negli extra del film quando uscirà su dvd...C'è in Europa uno scarica barile che tocca anche la dimensione economica: i francesi si incazzano come le iene se facciamo passare i tunisini. Ma le persone passano da noi, perché siamo vicini all'Africa...Ho deciso di raccontare la storia di questa nave, perché è anche una grande metafora di una vicenda che riguarda tutti noi: dall'Italia ogni anno vanno via 250.000 giovani. Sono tutte questioni enormi di cui nessuno ha in tasca le soluzioni.
Ma la cultura e i popoli devono decidere se fare un passo avanti o no”. Oltre all'Apulia Film Commission, presenti anche gli altri produttori, l'Indigo Film, che in una co-produzione con Rai Cinema - presente Carlo Brancaleoni -, Ska-ndal Production, Archivio Centrale Statale del Film in Albania, Telenorba, Digitalb, sarà in sala in Italia dall'8 novembre grazie alla distribuzione capace e di qualità di Microcinema, che nella persona di Silvana Molino dice: “Per noi è importante aprire un capitolo nuovo sul cinema di qualità, anche grazie a un film come La nave dolce. In questi anni abbiamo raccolto da parte del pubblico la necessità a un cinema che sia capace di far incontrare e far condividere. E con un film come questo che è anche un documentario, andremo nelle scuole, nei circuiti extra, in tutti in quei luoghi, che lo vorranno e che sono tutti benvenuti”. “Ringrazio personalmente il direttore Alberto Barbera, per la presenza al festival di tanti documentari” conclude Vicari. “Nel nostro cinema ha assunto di nuovo un'importanza grandissima, cambiando dal di dentro la sua natura. Lo dimostrano gli stessi fratelli Taviani con un film importantissimo come Cesare deve morire.  Da molti anni penso, e sento dire spesso, che i film documentaristici sono un punto di riferimento, permettendo una scelta e una sperimentazione maggiori. Anche se son contrario alla distinzione tra cinema documentaristico e quello di finzione...Ma al di là di questo, c'è ora un'emergenza profonda nel momento storico che stiamo vivendo, e il cinema-documentario è una risposta a questa crisi socio-politica”.