Ogni mattina, all'alba, si inginocchia su un'altura per rendere grazie al sorgere di un nuovo giorno. Di poche parole, quest'uomo (David Dewaele, un volto che sarà difficile dimenticare) dorme tutte le notti alle pendici di un bosco della Cote d'Opale. A prendersi cura di lui è una ragazza (Alexandra Lematre) che vive in una fattoria da quelle parti, attratta dalla misteriosa forza che lo abita...
E' Hors Satan di Bruno Dumont, che torna al Festival di Cannes (Un Certain Regard) cinque anni dopo Flandres: ancora una volta tremendamente suggestivo nella messa in scena (solamente l'idea di quanto il suono in presa diretta influisca sul processo evolutivo del racconto, di fatto musicandolo, vale la visione) e altrettanto discutibile per la brutalità di alcune sequenze (non poteva mancare il solito amplesso, che definire selvaggio è poco...), Dumont riflette nuovamente sulla natura del male ipotizzando l'esistenza di un "catalizzatore", travestito da essere umano, capace appunto di tirar fuori Satana come accade con la ragazzina del villaggio, apparentemente posseduta. Ma è un percorso, quello del film di Dumont, pieno di contraddizioni e ambiguità: dai due omicidi a sangue freddo, passando per la morte e la resurrezione della sua giovane amica (per non insistere sull'epilogo del rapporto sessuale accennato in precedenza...), il protagonista sfugge di continuo a qualsiasi "controllo", chiuso in un silenzio reso ancor più assordante dal suono della vita circostante (il vento, la pioggia, il respiro affannato di interminabili camminate, il fruscio dell'erba e il rumore di ogni passo). Quello che rimane, indelebile, è il ricordo di un luogo insieme desolato e magico, crudele e armonico, partendo dal quale il cineasta francese ha poi realizzato la sceneggiatura. Prendere o lasciare, come spesso accade con il cinema di Dumont: noi ci prendiamo il cinema, e lasciamo le inevitabili "brutture" a (non) futura memoria.