“Finché c’è satira c’è speranza perché vuol dire che c’è un pensiero e un’altra possibilità”. Parola della grande Paola Minaccioni, che ieri è salita sul palco del Lecco Film Fest, conquistando con la sua ironia e le sue imitazioni il pubblico e regalando alcuni momenti esilaranti. Brillante, straordinaria interprete di commedia, ma anche di alcune toccanti interpretazioni drammatiche, da sempre divide la sua carriera fra cinema, teatro, televisione e radio.

“La mia passione per la recitazione deriva dalla mia famiglia tragicomica. Mi sono ritrovata a fare l’attrice. I miei genitori anche se non avevano grande formazione scolastica mi hanno indirizzata e resa una persona curiosa. Mi sono formata con la commedia all’italiana, Scola, Totò, Sordi, Franca Valeri”, rivela durante l’incontro moderato dal giornalista Federico Pontiggia.

Cresciuta sui campi di calcio in mezzo ai giocatori, il padre fisioterapista della Roma (“ha avuto una vita incredibile: orfano, imparò a scrivere da solo, poi andò in guerra e diventò paracadutista, fu imprigionato tra gli inglesi in Africa, tornato pensò di diventare campione di ciclismo, poi fece un corso da portantino in ospedale, infine divenne infermiere e massaggiatore”), la madre sindacalista e la nonna la imita ancora nei suoi spettacoli. Anzi fu la prima delle sue imitazioni (“tutto cominciò quando mia madre fece richiesta per mia nonna come ipovedente. Uscì la legge che garantiva alle persone con invalidità una pensione, ma la vivevamo un po’ come se fossimo dei ladri”).

Ne sono seguite tante altre: dalla Meloni (“sono stata la prima a imitarla da quando era ministro della gioventù, poi mi contattò per farmi i complimenti, è stata una mia fan da subito”) alla Ferilli (“nata dopo aver visto una serie dal titolo Rimbocchiamoci le mani nella quale lei faceva il sindaco e parlava tutta accorata, mi sembrava quasi che imitasse la Magnani”), da Loredana Berté a Melania Trump (“quando nessuno immaginava che sarebbe diventata la First Lady e abbiamo decisa di farla con l’accento russo”). “Nelle imitazioni è molto importante trovare una chiave di lettura. Ne Il ruggito del coniglio (ndr. trasmissione radiofonica di Radio 2 condotta da Antonello Dose e Marco Presta) facciamo satira e abbiamo il coraggio di tirare fuori i lati negativi di tanti personaggi. I comici che fanno satira come Maurizio Crozza o Corrado Guzzanti purtroppo si vedono poco. Molti non attaccano e non ridicolizzano in modo pungente i personaggi che imitano”.

Paola Minaccioni (foto di Stefano Micozzi)

Su Twitter ha scritto che quando recita nulla le fa paura. “Quando reciti sai chi sei, dove vai, cosa ti accadrà, i sentimenti che proverai, sai come andrà a finire la storia. Nella vita di tutti i giorni mi domando sempre quale è la cosa giusta e sono mossa dall’ansia, ma avere dubbi serve così come porsi molte domande”. A proposito di domande, diventando la Minaccioni cosa ha scoperto di Paola? “Essere diretta è la mia cifra. Da poco racconto le cose della mia famiglia. Ho sempre pensato che dovevo essere altro da me. Motivo per cui sono salita sul palcoscenico. Ora sto facendo esperienza del fatto che la mia natura e la mia semplicità apparente e apertura verso gli altri è la mia forza. Questo mi fa stare bene. Ho trovato il mio posto”.

Di teatro ne ha fatto tanto. Da poco a New York e Los Angeles con il suo spettacolo Dal vivo sono molto meglio!, recentemente ne L’attesa di Remo Binosi con Anna Foglietta per la regia di Michela Cescon. “Michela mi ha rimessa in pista dopo anni di comico. Questo è uno spettacolo pop che tiene lo spettatore come una soap opera, ma ha la delicatezza di un grande autore. La storia è ambientata nel ‘700. Foglietta è una nobildonna, l’altra una serva veneta, da me interpretata. Entrambe sono recluse in questa casa di villeggiatura perché devono nascondere una gravidanza non voluta”.

Lanciata al cinema dal film di Ferzan Ozpetek: Mine vaganti, Allacciate le cinture per cui ha vinto un Nastro d’Argento, Magnifica presenza, ma anche la serie Le fate ignoranti. “Ferzan è un animale che ha un istinto incredibile verso gli attori. Ha assistito a diversi miei spettacoli teatrali e nella mia folle ironia ha visto la mia fragilità e il mio equilibrio precario. Anche a me fanno ridere gli esseri umani fallaci. Sono più interessanti le persone che hanno dei problemi e delle difficoltà. Quelli risolti sono noiosissimi. Pensate la storia di un film di uno che sa tutto, gli va tutto bene, dopo due minuti lo odi e te ne vai”.

E poi: “All’inizio pensavo di non piacere a Ferzan. Poi c’è stata la scena di Mine vaganti con Ilaria Occhini e l'insulina, citazione del film di Umberto D. (ndr. in programma domenica perché è il film che ha voluto portare Carlo Verdone al Lecco Film Fest) e lì mi ha apprezzato molto. È stato l’unico che mi ha dato percorsi drammaturgici approfonditi. C’è un pregiudizio nei confronti degli attori comici e della scrittura. Spesso nessuno pensa che in un ruolo drammatico ci possa essere dell’ironia e della comicità. Se si ride non è serio, se è serio non si ride. Invece la verità è proprio nel doppio”.

C’è anche un altro pregiudizio nel nostro cinema legato al genere e ai ruoli femminili. Solitamente una donna è funzionale al percorso narrativo dell’uomo. O viene sedotta o viene tradita. “Io faccio sempre la tradita- ride-. A un certo punto ho detto: va bene sono una portatrice sana di corna. Tutto il movimento del Me Too è importante. Ha portato già dei risultati, ma nessuno parla del fatto che molte attrici non hanno proprio accesso a certi provini perché non piaci fisicamente. Io ho perso un sacco di ruoli per questo problema. Io facevo il Me Not Why?”.

Parità di genere in tema cinematografo. Come se ne esce? “Le rivoluzioni si fanno piano. Siamo in trasformazione. È un equilibrio precario. Cerchiamo di scrivere storie in cui le donne sono diverse e hanno un altro arco narrativo. Sono delle eroine e non hanno sempre e solo la parte della donna tradita o dell’amante. Il problema è anche che ci sono anche degli eccessi come quello dell’essere politically correct che sta portando l’editoria cinematografica ad avere dei paletti eccessivi che bloccano la creatività”. Infine sul tema del Lecco Film Fest, ovvero sull’espressione di Papa Francesco che ha richiamato gli artisti alla necessità di ridestare lo stupore, conclude: “Per colpa dei social ci siamo uniformati. È come se avessimo perso la capacità di stupirci. È necessario assolutamente ridestare lo stupore”.