Personalmente ho sempre creduto che il mondo dell’entertainment, al netto della sua innegabile capacità di creare arte e di farci sognare, sia un unico “calderone” dalla forte vocazione vanesia, sospeso – idealmente – tra due frasi tratte da due film indimenticabili.

La prima è la stracitata “La vanità è il mio peccato preferito” che Al Pacino pronuncia alla fine de L’avvocato del diavolo di Taylor Hackford, in un finale dove il protagonista sembra avere fatto la cosa giusta rovinata proprio da quella vanità diabolica che, invece, a noi spettatori pareva essere stata sconfitta. L’altro polo è invece dato da un film di quasi un quarto di secolo prima che ha superato il mezzo secolo, ovvero Jesus Christ Superstar diretto dal compianto Norman Jewison, scomparso qualche settimana fa. Nel finale dove Giuda rinfaccia a Gesù le sue colpe, il “traditore” per eccellenza rimprovera addolorato nella canzone (non a caso intitolata Superstar): “Hai iniziato a credere alle cose che dicevano di te…”.

Ted Neeley in Jesus Christ Superstar (Webphoto)
Ted Neeley in Jesus Christ Superstar (Webphoto)

Ted Neeley in Jesus Christ Superstar (Webphoto)

Insomma, guardando ai peccati di Hollywood e dintorni, ma anche non varcando l’oceano, l’intero mondo dell’entertainment con annessi e connessi influencer usa e getta ecco che il quadro sembra completarsi e la polarizzazione avere davvero un senso. Del resto, c’è un certo delirio di onnipotenza in giro: sarà dovuto alla mancanza di interlocutori da guardare negli occhi, sarà per la celebrazione mediatica che i giornali a caccia di notizie e di clic danno a certi personaggi e ad alcune storie francamente minori, ma sta di fatto che si è perso il senso e la misura del ridicolo.

Abbiamo tutti letto delle disavventure natalizie di Chiara Ferragni e della sua immagine incrinata che da influencer ammirata, è diventata emblema di un modo quantomeno opaco di fare beneficenza, se non apertamente truffaldino con pandori venduti al 300% del valore di costo non per sostenere giuste cause benefiche, ma per ripagare promozioni dai prezzi esorbitanti.

Come ha notato un vecchio amico del mondo dell’entertainment, l’avvocato Davide Rossi, ex Presidente di Univideo e oggi Segretario Generale dell’EuCer ovvero European Consumer Electronics Retail Council, è lecito porsi diverse domande rispetto alla condotta della difesa dell’influencer in questione. A rispondere alle varie accuse e – soprattutto – alle dissoluzioni successive di altri contratti è sempre e soltanto Chiara Ferragni, come se i suoi legali che già hanno verosimilmente le loro strategie da plasmare, fossero relegati a ruoli di esecutori.

Offrendo un parere tecnico e spassionato, l’avvocato Davide Rossi osserva non senza una punta di stupore che “i legali di Chiara Ferragni Brand stiano sbagliando tutto. L’istruttoria dell’Anti-trust è partita mesi prima del comunicato stampa e c’era tutto il tempo per ammettere le proprie leggerezze impegnandosi ad azioni di riparazione come sempre fanno le imprese colte in fallo dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Assurdo poi che a parlare in prima persone sia Chiara per discolparsi e divenire ancora di più bersaglio degli haters. Non poteva esporsi un suo legale come fanno tutti gli indagati da che mondo è mondo? E oggi, rispondere alla decisione di Pigna con un virgolettato ancora una volta attribuibile a lei nel quale si minacciano ritorsioni legali. Non sarebbe bastata una pec ai diretti interessati? Si vuole intimidire qualche altro sponsor? O andare a un braccio di ferro assolutamente suicida con le imprese un tempo amiche che quindi diventeranno irrecuperabili come partner? Veramente difficile da comprendere”.

Un’osservazione pacata che, però, offre una spiegazione plausibile, ovvero che il senso dell’intermediazione sia saltato del tutto nella nostra epoca. Oltre ad esporre ai due poli opposti dell’entertainment citati all’inizio di questo articolo, si segue l’idea assurda se non pericolosa che un influencer vale tanto quanto il suo consenso e il numero di follower quindi oltre a sovvertire o quantomeno a non seguire le regole della consuetudine, può ergersi a patrocinante e patrocinato, rispondendo direttamente alle accuse, minacciando ritorsioni e scagliando strali più o meno ricondivisi dai follower, peraltro in grande parte ancora inferociti per i bocconi amari di pandoro.

Ma qual è il senso di tutto questo? È vero, abbiamo visto ragazzini brufolosi e ragazze procaci (sessismo patetico, peraltro) sostituirsi ai giornali per promuovere i film, nonché tutto il sistema dell’entertainment vive con sofferenza la tradizionale intermediazione che mette al sicuro da vari errori e cadute economiche, inventando il termine Direct to Consumer. Ma si può anche fare il Direct to Legal? Del resto, mentre a casa nostra ci si arrabbia per contratti interrotti, l’autodefinito “Dittatore più figo del mondo” Nayib Bukele, super influencer di El Salvador conferma la sua ri-elezione a Presidente della Repubblica, con numeri degni di altre atmosfere autoritarie proprie di epoche sovietiche: la vittoria schiacciante arriva nonostante il divieto costituzionale del paese di mandati consecutivi, così come le critiche internazionali secondo cui la repressione della criminalità da parte della sua amministrazione ha scatenato una crisi dei diritti umani.

Nayib Bukele
Nayib Bukele

Nayib Bukele

“Secondo i nostri numeri”, ha twittato il presidente in spagnolo, “abbiamo vinto le elezioni presidenziali con oltre l'85% dei voti e un minimo di 58 su 60 deputati nell'Assemblea”. Bukele, 42 anni, è estremamente popolare in El Salvador, con un indice di gradimento che si aggira intorno al 90%, secondo l'Agence France Presse. Ha una passione per gli occhiali da sole da aviatore, le giacche di pelle e le acrobazie appariscenti, ha reso legale il bitcoin nel 2021 e ha ospitato il 72esimo concorso di Miss Universo l'anno scorso. Inoltre, le sue tattiche dure contro la criminalità, in particolare quando si tratta delle bande organizzate che hanno terrorizzato la regione per anni, hanno fatto scendere il tasso di omicidi tra i più bassi dell’America Latina.

ONG attive per la tutela dei diritti umani dicono che più di 150 persone sono morte in custodia dall'inizio della campagna di arresti. In un rapporto di dicembre, Amnesty International ha messo in guardia contro “la graduale sostituzione della violenza delle bande con la violenza dello Stato, le cui principali vittime continuano ad essere comunità colpite dalla povertà e storicamente devastate dalla criminalità”.

Bukele, ex studente di giurisprudenza diventato imprenditore digitale e direttore di nightclub, è stato sindaco della capitale San Salvador per tre anni prima di salire alla presidenza nel 2019. Insomma, questioni molto serie dove gli influencer arrivano a dominare il mondo nel senso non lato dell’espressione, riducendo tutti noi un po’ come la Paola Minaccioni dello spettacolo Stupida Show, sold out in tutta Italia che in un momento topico dello show se la prende con le frasi di alcune influencer poco vestite che inneggiano alla pace interiore, all’educazione e – perfino – alla religiosità…

Paola Minaccioni (foto di Karen Di Paola)
Paola Minaccioni (foto di Karen Di Paola)

Paola Minaccioni (foto di Karen Di Paola)

Scritto da Carrozzeria Orfeo e rivisto da Minaccioni stessa, lo spettacolo in cui una donna normale riflette in maniera esilarante sulla sua esistenza, offre uno spunto di riflessione sui Social Media al contrasto tra ciò che si mostra e quello che si scrive. Qualcosa che “manda ai pazzi” il povero alter ego di Paola Minaccioni sul palco, ma che – al tempo stesso – obbliga tutti noi alla grande ipocrisia vanesia che sta abbattendo difese e barriere, per impossessarsene: a colpi di pandoro, di serate ai night club e di foto osé.

Un mondo complicato quello dove ci tocca vivere, in cui gli errori e la vanità sono sempre in agguato anche se alle volte basterebbe fidarsi dei professionisti e dei loro studi, anziché affidarsi al primo tutorial che ci fa sentire onnipotenti: dall’aggiustare un citofono, a lanciare un satellite, fino ad entrare in battaglie legali dove a perdere non sono le parti quanto la dignità, scivolando, ahimè, dal ridicolo al patetico senza soluzione di continuità.