“La prima cosa che mi viene in mente di Lecco? Il ricordo di tutte le volte che sono passata da qui da piccola mentre andavo a sciare con la mia famiglia”. Con le memorie d’infanzia inizia l’incontro con Elena Lietti in piazza XX Settembre a Lecco.

Proprio dalla sua famiglia è nata la passione per il cinema e la recitazione: “Mia madre mi ha trasmesso l’interesse che è cresciuto grazie alle prime esperienze a teatro con Filippo Timi. Dopo essermi formata con Quelli di Grock, ho incontrato Filippo mentre portava in scena La vita bestia e la sua follia mi ha colpito. Ho iniziato a lavorare con lui: in laboratori teatrali prima e sul palco poi, come nell’Amleto. L’esordio cinematografico è giunto con Luca Lucini in Oggi sposi che ha visto in me l’aspetto comico”.

Diversi i registi che ha ringraziato, come Nanni Moretti: “Lavorando con lui ho visto la sua proiezione del femminile sul mio personaggio. Tre piani è stato sicuramente il film di cui ho avuto meno la capacità di prevedere ciò che sarebbe stato il risultato finale. L’unica cosa che avevo colto era che l’atmosfera del film sarebbe stata più determinante della scrittura. Se con Tre piani Nanni ha sicuramente cambiato il suo percorso, girando per la prima volta un film di cui non firma la sceneggiatura, Il sol dell’avvenire, in particolare con la parata finale, vuol rendere omaggio alle persone del suo cinema. C’è chi l’ha visto più come un testamento, un commiato. Io l’ho vivo come un omaggio”.

Importante la collaborazione con Niccolò Ammaniti, iniziata con la serie Il miracolo: “Recitare in una serie è una grande opportunità per gli attori per lavorare sui personaggi lungo un arco narrativo più articolato. Ammaniti mi ha fatto lavorare in diverse figure di donne, anche contraddittorie, secondo una concezione del femminile non funzionale al maschile, ma più articolato. Ha sempre scritto figure a tutto tondo e mi ha fatto fare un salto: ho affrontato la messa in scena di un femminile scuro, non contentabile, affascinante e attraente. Mi ha fatto scoprire una sicurezza che non sapevo di avere, che ho dovuto tirare fuori per superare il provino e recitare quella parte. L’ho fatto con un po’ di follia, seguendo il consiglio di mia sorella: nel bene o nel male, purché si ricordino di te”.

Elena Lietti e Federico Pontiggia (foto di Monica Fagioli)
Elena Lietti e Federico Pontiggia (foto di Monica Fagioli)

Elena Lietti e Federico Pontiggia (foto di Monica Fagioli)

Con Paolo Virzì il lavoro è stato diverso: “A Paolo piacciono gli attori autori, creatori dei loro personaggi. L’esperienza de La pazza gioia è stata un laboratorio intensivo di recitazione. Siccità invece è stato un lavoro su cosa vuol dire stare sul set, scoprire la follia del cinema e le sue illogicità. Questo perché a teatro l’attore è padrone della scena, la domina. Nel cinema è a completa disposizione del regista e del montatore. In questo uno deve trovare, anzi prendere, uno spazio di libertà: è l’unico modo per essere padrone del proprio ruolo”.

Insieme a un’intensa attività teatrale - è a teatro con Costellazioni di Nick Payne, testo che mette insieme la meccanica quantistica e la storia di una relazione - Lietti è nel cast di alcuni dei film italiani più apprezzati degli ultimi due anni, come Le otto montagne, Siccità e Il grande giorno con Aldo, Giovanni e Giacomo. Riguardo a questo film: “Ho recitato in un ruolo nuovo rispetto alle dinamiche del trio viste in precedenza. Questo è dovuto al grande lavoro di Venier: ci siamo seduti a un tavolo e ci siamo detti: ‘rendiamola una donna reale.’ Abbiamo preso un personaggio abbozzato e lo abbiamo sviluppato rendendola una donna vera, dotata di un’umanità di provincia”.

Sul perché abbia recitato in così tanti successi, non ha una risposta precisa: “Sono istintiva, anche nella scelta dei ruoli: questo mi ha portato anche a di dire dei no. Ho sempre lavorato sulla mia persona senza emulare altri. Non uso la mia personalità, ma preferisco entrare nei personaggi: mi piace andare sempre in direzioni diverse. Probabilmente sono in grado di riconoscere i buoni film, cercando in questi anche l’evoluzione dei personaggi femminili. Sono convinta che la cosa più importante è sempre la storia: è meglio avere una parte in un soggetto valido che essere protagonista in un film brutto. Detto questo, per la mia carriera forse mi converrebbe scegliere anche un regista meno noto, ma trovare un ruolo da protagonista. Magari con una regista donna? Perché no, anche se io sono stata sempre diretta dagli uomini e sono molto soddisfatta: non serve per forza una donna per avere un ruolo femminile valido. Negli ultimi anni abbiamo visto un’emancipazione femminile grazie ad attrici meravigliose che esulano dallo stereotipo maschile, come ne L’Arminuta. Inoltre molte mie colleghe diventano registe, probabilmente per supplire a una carenza e affrancare il cinema dal patriarcato: perché il protagonista deve sempre essere un uomo?”.