Oltre a essere un regista che si è imposto nel panorama internazionale grazie a due grandi film come Tesnota (2017) e La ragazza d’autunno (2019), Kantemir Balagov è un esule. Ha lasciato il suo Paese, la Russia, pochi giorni dopo l’invasione militare dell’Ucraina. Come altri artisti, ha usato i social per documentare ciò che stava accadendo. E, proprio attraverso i suoi profili, all’indomani delle nuove leggi emanate da Vladimir Putin per limitare l’informazione, ha annunciato l’imminente abbandono della Russia: “In un attimo il nostro futuro ci è stato tolto. Le nostre vite ci sono state tolte. I nostri genitori e amici ci sono stati portati via. Ma c’è una cosa che non sono stati in grado di portarci via: è il cinema. I nostri cuori sono con l’Ucraina e tutto il popolo russo che è contrario a questo incubo”.

Il post (oggi non più disponibile, come altri suoi contenuti) era scritto in inglese, la lingua dell’imperialismo, nonché quella parlata dai creatori e dai produttori della serie The Last of Us, il cui pilot aveva diretto nell’estate 2021. Minacciati di morte, Balagov e la sua compagna Kira Kovalenko, regista di Ada, si sono trasferiti in California grazie ai visti turistici garantiti da Julie Huntsinger, direttrice del Telluride Film Festival: per ringraziarla (“È stata la prima persona a dirci di andare via, è il nostro angelo custode”), la coppia ha accettato il ruolo di guest directors della kermesse, nel settembre 2022. Un mese più tardi, il regista ha annunciato di non avere più niente a che fare con The Last of Us, sempre con un messaggio sui social in cui alludeva a divergenze creative.

Non è così strano che Balagov condivida così frequentemente notizie personali e professionali, spesso superando i comunicati ufficiali: è nato il 28 luglio 1991, è un nativo digitale, un millennial. Anche il fatto che cancelli i post che gli attirano odio sociale, mantenendo un “autobiografia per immagini” molto essenziale e senza didascalie, è tipico della sua generazione. Al momento, l’ultimo contenuto su Instagram è dello scorso novembre: due foto, un tramonto californiano e una pagina bianca con scritto “yet.” (“ancora” o “già”). È un modo per dirci che sta lavorando al suo primo lungometraggio in lingua inglese, Butterfly Jam, che vede tra i produttori l’ucraino Alexander Rodnyansky (all’attivo film come Sin City – Una donna per uccidere e Loveless) e Ari Aster: “I due film di Kantemir – ha dichiarato il regista di Hereditary e Midsommar – sono tra i più singolari, meravigliosi e inquietanti che abbia mai visto”.

Tesnota
Tesnota

Tesnota

dall’incontro con sokurov all’esordio con tesnota

Potrebbe sembrare ozioso, eppure tutto questo preambolo ci serve per definire l’orizzonte di un autore incendiario, uno che a venticinque anni era già nella selezione ufficiale del Festival di Cannes con un film capace di incastonarsi nella memoria. Balagov appartiene al gruppo etnico cabardo, originario del Caucaso, ed è nato a Nal’čik, una città a sud-ovest di Mosca dove conosce la concittadina Kovalenko, che diventa la sua compagna nonché collega. Il cinema non è certo una priorità, tant’è che non cresce con il mito della cinefilia (“A volte guardavo bei film come Dancer in the Dark, Kill Bill e Amores Perros, ma ho visto anche un sacco di schifezze”), finché arriva Aleksandr Sokurov: il più importante regista russo apre una scuola di cinema proprio a Nal’čik e, dopo aver notato alcuni video pubblicati su YouTube, prende la giovane promessa sotto la sua ala protettiva. “Sokurov diceva che il cinema può salvarci – ha detto Balagov in un incontro a Telluride – e ci ha mostrato che il cinema ha a che fare con l’immortalità”.

Grazie agli insegnamenti del maestro, Balagov capisce di voler raccontare le storie che più gli sono vicine: quella della sua città natale, della sua gente, del suo territorio. Presentato a Un Certain Regard nel 2017, Tesnota è il manifesto di una poetica e una rivelazione. Ambientato nella Russia post-sovietica a cavallo tra gli anni Novanta e il terzo millennio, è il racconto del rapimento di una coppia di giovani fidanzati: per evitare di coinvolgere la polizia, la sorella di lui sonda strade alternative, prima protetta dalla ristretta comunità ebraica che si offre di raccogliere i soldi necessari per il riscatto e poi travolta dai conflitti interni. Tesnota sta per “ristrettezza” o “insufficienza di spazio”, non a caso: un’implacabile trenodia fatta di piani ravvicinati, aspect ratio 1:33 e formato 4:3, in cui la dimensione soffocante non lascia via di scampo e risucchia il pubblico in un’inquietante asfissia en plein air, capace di calibrare tensione e dolore, ansia e claustrofobia.

La ragazza d'autunno
La ragazza d'autunno

La ragazza d'autunno

(Liana Mukhamedzyanova)

la ragazza d’autunno e poi

Due anni dopo è tornato sulla Croisette, nella stessa sezione, con La ragazza d’autunno, il cui titolo italiano tradisce l’originale Dylda, “spilungona”. L’eroina titolare è un’icona: troppo alta per svettare sugli uomini, rivendicare per sé una fragilità d’animo che il corpo protratto verso il cielo sembrerebbe minimizzare. Con lei, un’infermiera, affetta da stress post-traumatico, che accudisce in ospedale il figlio di un’altra donna. Un film che è un duetto nella spettrale e allucinata Leningrado dell’immediato dopoguerra, dove vivere è solo l’illusione sotto la quale si cela la certezza del sopravvivere (nel frattempo ha cominciato a vedere film: si sente l’eco di Quando volano le cicogne di Michail Kalatozov, Le ali di Larisa Shepitko, Il mio amico Ivan Lapšin di Aleksej German). A colpire di Balagov è la capacità di plasmare mondi attraverso una regia che ha qualcosa di davvero sconvolgente per esattezza chirurgica, uno sguardo deflagrante nel definire gli spazi del dolore e i colori esplosivi dell’erotismo soffocato.

Non fosse stato per la guerra, Balagov avrebbe girato il suo terzo film a Nal’čik anziché nel New Jersey: al centro del nuovo lavoro ci sarà la diaspora circassa. Un autore puro, serio, non riconciliato: “Pensi che con il cinema – ha detto alla critica Bessie Rubinstein – si crei qualcosa che non cambierà mai. Ma il tempo passa, le immagini cambiano: perciò quando parliamo di cinema abbiamo a che fare con i fantasmi”.