“Penso che la nostra sia una generazione sottovalutata” sostiene Emilia Mazzacurati, che a ventisette anni ha diretto il suo primo lungometraggio, Billy, che sarà proiettato domenica 9 luglio alle ore 21 in Piazza Garibaldi a Lecco, nella serata di chiusura del Lecco Film Fest, il festival organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e promosso da Confindustria Lecco e Sondrio che inizia mercoledì 5 luglio. E della sua generazione Billy potrebbe essere simbolo oltre che testimone: diciannovenne, ex enfant prodige che a nove anni ha inventato e condotto un podcast di musica di successo, vive con l’eccentrica madre Regina, è segretamente innamorato di Lena, la sua vicina di casa, frequenta solo bambini fra e non sa cosa fare della sua vita. Finché non incontra il suo idolo d’infanzia, Zippo, un rocker scomparso da anni.

Da dove arriva Billy?
All’origine pensavo a un cortometraggio su una mamma che si comporta come una bambina e un figlio adolescente che era stato un bambino prodigio. Dopo Manica a vento, un film breve che ho girato nel 2019, avevo voglia di farne un altro. Ma, a poco a poco, quella storia si è espansa, come dei Lego su una piattaforma.

Emilia Mazzacurati
Emilia Mazzacurati

Emilia Mazzacurati

Sin dalle prime scene c’è un senso di straniamento legato anche al paesaggio che fa da scenario al film.
L’ho trattato come se fosse un personaggio. Abbiamo girato tra il Friuli e il Veneto ma volevamo che la nostra cittadina fittizia fosse un tipico centro della provincia italiana nord-occidentale, con dei luoghi dell’anima che fossero riconoscibili al di là della collocazione geografica. Un lavoro sulla memoria che potesse restituire il sentimento della provincia.

Cos’è il sentimento della provincia?
Sono nata e cresciuta a Padova, ora ci sono tornata dopo essere stata altrove. Sono una fan della provincia! Solo in provincia possono accadere certe cose. È un microcosmo in cui da bambini si sogna in grande ma, una volta cresciuti, ci si scopre bloccati dalla paura. E si diventa adulti disillusi perché le ambizioni non si sono concretizzate. Un concetto che ho voluto raccontare in modo allegorico: in Billy ci sono molti mezzi di trasporto che però restano fermi, come il camper in cui il protagonista incontra i suoi amici. Il contrario di American Graffiti.

È stato un punto di riferimento?
Sì, certo. Ma lì sono sempre in movimento. Per me Billy è un coming of age al contrario: non c’è la perdita dell’innocenza ma la riconquista dell’innocenza perduta. Un nuovo modo di vedere la vita.

Alessandro Gassmann e Matteo Oscar Giuggioli in Billy
Alessandro Gassmann e Matteo Oscar Giuggioli in Billy

Alessandro Gassmann e Matteo Oscar Giuggioli in Billy

Altre evocazioni e suggestioni?
La pittura di Edward Hopper, certamente. Ma soprattutto Luigi Ghirri, il grande fotografo emiliano: lo sguardo di chi vede le cose, i colori, gli umori come se fosse la prima volta. Scoprendo nuovi significati.

Billy sembra essere sospeso nel tempo e nello spazio.
La sfida era di viaggiare su una linea sottile tra surrealismo e realismo, raccontando sentimenti reali in un contesto sopra le righe che mantenesse comunque una sua credibilità. Perciò abbiamo fatto un lavoro sulle epoche, con spazi esteticamente fermi che comunicano quanto il passato incombe sui personaggi. Stesso ragionamento per i costumi: Billy ha l’apparenza di un ragazzo degli anni Ottanta, Lena e Zippo sembrano arrivare dagli anni Novanta. E poi le musiche: ho fatto impazzire Alessandro “Asso” Stefana, l’autore delle musiche, con suggerimenti di ogni tipo: “qui ci andrebbe bene Bob Dylan… qui i Rolling Stone” (ride, ndr). Ma ha fatto un lavoro straordinario, perché la colonna sonora è la spina dorsale del film. Mi piace quando il pubblico dice che ci ha trovato epoche già sentite: è il risveglio della memoria interna, dei dejà vu, l’eco di qualcosa di familiare.

Ma Billy è anche ancorato a questo tempo, no?
Io spero che rappresenti un’intera generazione. Sono nata in luoghi simili a quelli di Billy (perché quell’Italia si somiglia a prescindere dalle latitudini), conosco il sentimento dei miei amici che si sono ritrovati a disagio dopo la fine della scuola. E ho capito che gli adolescenti incarnano perfettamente un’Italia sempre in equilibrio precario ma con un indomabile istinto di sopravvivenza. Per questo sostengo che la nostra è una generazione sottovalutata.

Parliamo dei Millennials, spesso ridotti a letture troppe semplificate.
In un momento così confuso come quello che stiamo vivendo, il passato sembra più presente. Perciò penso che i tanti Billy che esistono provano una così forte nostalgia di epoche mai vissute. Ho voluto fare un film pieno di echi del passato, sospeso, rarefatto…

E il futuro?
Non lo so! Però in Billy ci sono adulti che fumano moltissimo e si comportano in modo infantile, quindi nei fatti penso si debba avere fiducia nella vitalità nascosta e repressa dei più giovani.

Billy
Billy

Benedetta Gris e Matteo Oscar Giuggioli in Billy

Billy soffre di attacchi di panico. Il tema della salute mentale è molto presente nella generazione dei venti-trentenni.
Billy ha un’estrema energia, come sa bene la mamma. Che non è affatto una donna superficiale: ha solo paura di calarsi negli abissi del proprio dolore. L’attacco di panico è l’unico canale che, in quel momento, l’energia di Billy trova per uscire dal corpo. È vero, al di là delle esperienze personali, penso che da parte nostra ci sia più sensibilità sul tema. Non volevo che fosse un utilizzo pretestuoso, ma che avesse una precisa funzione drammaturgica.

Come ha trovato Billy?
Il casting è stato molto lungo, ma quando ho incontrato Matteo Oscar Giuggioli è scattata la magia. Un’epifania: me lo immaginavo esattamente come un disegno di Francis Bacon che avevo scelto come traccia per il personaggio. Poi è stato fondamentale conoscerci per quasi un anno prima delle riprese.

Come si fa a dirigere, a ventisette anni, attori navigati come Carla Signoris, Alessandro Gassmann, Giuseppe Battiston, Sandra Ceccarelli, Roberto Citran?
Ho inviato loro delle lunghissime mail in cui praticamente ho inventato le biografie dei personaggi, inserendo aneddoti che non sono entrati nel film ma erano necessari per renderli più complessi e articolati. Un processo, diciamo, un po’ psicanalitico. Che mi è servito: sul set si sono lasciati dirigere con naturalezza.

Carla Signoris in Billy
Carla Signoris in Billy

Carla Signoris in Billy

La battuta chiave del film è quella di Regina: “Amore, meglio vivere al di sopra delle proprie possibilità che non vivere affatto”. Com’è stato lavorare con Carla Signoris?
Sono andata a Genova per conoscerla e guardarci in faccia: si è sentita subito Regina. È un film pieno di sentimenti autobiografici, lei è il personaggio più autobiografico: è ispirata a una mia nonna tabagista, seduttrice, sempre truccata. I costumi di Regina, una diva di provincia, sono ispirati proprio a quelli di mia nonna.

Il tema del Lecco Film Fest è “Ridestare lo stupore”. Billy è un film che lo coltiva, lo stupore. E lei?
Mi stupiscono le piccole cose, quelle che vedo nel mio quotidiano in provincia. Mi vengono in mente i romanzi di Kent Haruf: le storie che potrebbero capitare a tutti, la perdita che innesca una trasformazione e un nuovo inizio. Non so, forse c’entrerà anche la luna.