Il cinema, da oltre un secolo, continua a interrogare l’uomo in modo originale: non tanto interpellandolo a parole ma attraverso la luce e il silenzio, trasformando il buio di una sala in un luogo dove il tempo sospeso della visione rivela l’intimità del cuore e invita a contemplare la profondità del reale.

Lo ha spiegato efficacemente Papa Leone XIV incontrando registi ed attori da tutto il mondo, lo scorso 15 novembre: “Il cinema sa associare quello che sembra essere soltanto intrattenimento con la narrazione dell’avventura spirituale dell’essere umano”, sottolineando la capacità unica della settima arte di mettere in movimento la speranza. “Difendete la lentezza quando serve, il silenzio quando parla, la differenza quando provoca”, ammonisce il Pontefice, indicando le condizioni previe affinché il cinema possa offrire efficacemente questo contributo, contro la frenesia digitale e la silente prepotenza degli algoritmi che producono, rilanciano e ripetono solo ciò che è già noto, condiviso, gradito.

L’esperienza di visione diventa così spazio in cui l’opera filmica può educare lo sguardo, provocare l’animo e restituire senso alle esperienze, agendo non solo sulle emozioni ma generando domande profonde. L’educazione allo sguardo per Leone XIV non è però da intendere solo come previa all’esperienza estetica: il cinema è infatti strumento per imparare a guardare il mondo, a penetrarlo, comprenderlo, assumerlo, situando così la libertà del soggetto. La sua funzione non è tanto quella di costruire universi paralleli, spazi di evasione, ambiti consolatori: è anzitutto via per responsabilità personale e spinta per affrontare le ferite del mondo: povertà, guerre, violenza, esilio, solitudine.

Secondo il Papa, “recuperare l’autenticità dell’immagine per salvaguardare e promuovere la dignità umana è nel potere del buon cinema”. L’arte cinematografica non anestetizza il dolore, ma lo accompagna e lo indaga, trasformandolo in occasione di comprensione, memoria e condivisione. Per essere capaci di cogliere tutto questo occorre quindi approfondire e conoscere questo medium, serve educarsi ed educare. Il cinema è una questione di sguardi: quello dello spettatore, certo, ma anche quello autorale che non può essere solo “compilativo” o didascalico ma capace di profondità artistica, di trasfigurare il reale.

Questo accade sempre? No, e forse sta proprio qui la linea di demarcazione tra ciò che è arte cinematografica e generico audiovisivo, come efficacemente spiega una celebre citazione che Leone XIV ha voluto pronunciare: “Ciò che manca al film moderno è la bellezza, la bellezza del vento che si muove tra gli alberi”.

La frase, di una straordinaria urgenza, è di David W. Griffith, l’inventore della grammatica del cinema così come lo conosciamo oggi, colui che agli albori di questa arte nel 1915 con Nascita di una nazione realizzò il primo (discusso) film (muto) negli Stati Uniti, spostando per primo l’attenzione dalla capacità delle immagini di impressionare e divertire a quella che con lui diviene la vera funzione del cinema: raccontare una storia. Solo un cinema liberato dalla prevedibilità, dall’essere concepito come esclusivo prodotto di consumo, fedele alla verità del reale e abitato dal mistero dello Spirito, è spazio di creatività e libertà, dove desiderio, emozione e immaginazione trovano voce e mettono in moto la responsabilità personale. Proteggere l’autenticità dell’immagine significa preservare un luogo di incontro e dialogo, un linguaggio di pace, una casa per chi cerca senso.

Come ricorda Leone XIV, “Il cinema è un laboratorio della speranza, un luogo dove l’uomo può tornare a guardare sé stesso e il proprio destino”. Le parole del Pontefice evidenziano la responsabilità dei cineasti nell’essere testimoni di bellezza, verità e speranza: “Il grande cinema non sfrutta il dolore: lo accompagna, lo indaga”.

Molti attori e registi presenti all’Udienza sono rimasti colpiti da queste parole perché ancora una volta, come già accaduto con altri Papi, testimoniano come la Chiesa guardi con stima chi lavora con la luce, il tempo, la parola e il silenzio, riconoscendo nel cinema una forma d’arte capace di mediare tra la concretezza dell’esperienza quotidiana e il suo senso eccedente, trascendente. E questi artisti da papa Leone XIV si sono sentiti conosciuti, capiti, ascoltati, come testimonia il consistente tempo dedicato al dialogo personale. Interessante a questo proposito la riflessione che l’intervento papale presenta in merito allo stile del lavoro cinematografico: il carattere comunitario della settima arte.

Il Pontefice osserva che “un’opera sarebbe impossibile senza la dedizione silenziosa di centinaia di altri professionisti”, trasformando il set in metafora di una società possibile, in cui il talento individuale si realizza pienamente solo attraverso collaborazione e condivisione. Dimostrando di conoscere il mondo del cinema, ne usa il segreto come metafora per suggerire lo stile per una società che sia sempre più umana.