Estate 1974, Isola di Amity (New England). Durante una festa notturna sulla spiaggia, la giovane Chrissie decide di allontanarsi dalla comitiva per fare una nuotata. Bastano poche bracciate e due note (mi e fa, che distano appena un intervallo di semitono, ma che, unite, trasmettono un forte senso di ansia) perché il terrore divampi. Sulla povera Chrissie e sui cinema di tutto il mondo sta per abbattersi Lo squalo (in originale Jaws, “Fauci”), destinato a creare un nuovo genere: il blockbuster. Letteralmente “una bomba che può distruggere un intero isolato”, metaforicamente “un successo che polverizza il botteghino”.

Sono passati cinquant’anni dal 20 giugno 1975, giorno in cui nelle sale americane debuttò il quarto film di Steven Spielberg, basato sull’omonimo romanzo di Peter Benchley. La copertina del libro presentava già il concept dell’iconica locandina (firmata da Roger Kastel), ma nulla avrebbe potuto preparare il pubblico a quanto avrebbe visto o, meglio, non visto sul grande schermo.

Lo squalo
Lo squalo

Lo squalo

(Webphoto)

Difatti, per gran parte della pellicola, il gigantesco squalo bianco attacca e sparisce senza mostrarsi, come un invisibile alfiere della natura selvaggia, delle paure più ataviche e dalle inquietudini del decennio. Quando finalmente appare, l’effetto è tanto spaventoso quanto liberatorio perché, se esiste davvero, può essere affrontato e abbattuto, anche se per farlo “serve una barca più grossa”, come comunica lo sceriffo Martin Brody (Roy Scheider) al pescatore Quint (Robert Shaw) e al biologo marino Matt Hooper (Richard Dreyfuss).

In un’epoca priva di digitale e computer grafica, per dar vita allo squalo erano serviti tre modelli meccanici, due parziali e uno intero (soprannominato Bruce in onore dell’avvocato di Spielberg, Bruce Ramer). Inoltre, per volere del cocciuto Steven (che, a inizio riprese aveva solo ventisette anni e – come già anticipato in Duel, 1971 – una grande fascinazione per i “leviatani che prendono di mira la gente comune”), le scene acquatiche non erano state girate in un lago o in una piscina per effetti speciali, ma fra le onde dell’oceano (principalmente al largo di Martha’s Vineyard in Massachusetts), garantendo alla troupe un costante mal di mare e difficoltà d’ogni tipo, incluso il continuo incepparsi dei modelli a causa dell’acqua salata.

Davanti all’ennesimo intoppo, Spielberg si fece la domanda che sarebbe diventata il suo mantra per l’intera durata delle riprese: “Cosa farebbe Alfred Hitchcock in questa situazione?”.

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