Come in tutti i suoi film, anche in Spirit World – La notte delle lanterne Catherine Deneuve non può che essere Catherine Deneuve. E lei, consapevole com’è di essere Catherine Deneuve, non può che giocare in questa ennesima variante di sé: è una leggenda vivente, una cantante immalinconita, forse annoiata, che sa di non avere più la voce di un tempo ma continua a esibirsi anche in capo al mondo, ovvero a Tokyo, dove il pubblico la idolatra memore della sua stagione di gloria.

Accolta con tutti gli onori, non si fa molti scrupoli ad accendere una sigaretta in auto: per i giapponesi, si sa, è un gesto piuttosto inopportuno e l’accompagnatrice, con l’ossequioso tatto locale, glielo fa notare. Ma lei, serafica, dice: “Beh, me lo concederete”. È la regola d’ingaggio, una dichiarazione d’intenti: poiché mi amate, tutto è concesso.

Spirit World
Spirit World

Spirit World

È un po’ la sintesi di un’attrice che si muove da sempre in bilico tra l’alterigia di una presenza naturalmente monumentale e il bagliore di un’immagine perfino sacrale, la regale insolenza di chi sa di poter ribaltare il tavolo e la divertita nonchalance di una giocatrice che impone le regole. Dopo l’acclamato concerto, la spaesata Deneuve si rintana in un izakaya e beve troppo sakè: attraverso l’alcol, che diventa un viatico per l’altro mondo, la diva si disincarna, diventa spirito.

Come il suo più grande fan, morto prima della fatidica rentrée e che assiste al concerto mettendosi accanto al corpo del figlio. Non possono che incontrarsi e riconoscersi: perché nello sguardo incantato di quel vecchio fan che muore prima di vederla dal vivo c’è anche quello nostro, quello di tutti noi fatalmente stregati da colei che fu Tristana e Pelle d’Asino, Sirène du Mississipi e Cagna.

Catherine Deneuve alla Mostra del Cinema di Venezia 1999
Catherine Deneuve alla Mostra del Cinema di Venezia 1999

Catherine Deneuve alla Mostra del Cinema di Venezia 1999

(Foto Asac)

Assodato che un film con Catherine Deneuve è sempre un film su Catherine Deneuve, Spirit World di Eric Khoo recupera il fantasmatico nella terra di mezzo tra l’inizio e la fine, aspettando Obon, la festa delle lanterne in cui i morti fanno visita ai vivi. E sin dal titolo spinge ancora più in là la riflessione su questo corpo divistico sempre in movimento e che qui diventa pura essenza, fantasma d’amore come nel film interpretato dal suo grande amore Marcello Mastroianni. Suo, anzi Marcello mio, come l’ultima riconfigurazione metacinematografica di questa attrice che non può non essere se stessa, che sia figura materna del cinema tutto (Adieu a la nuit, De son vivant) o perfino della patria (La moglie del presidente, ma anche la giudice di A testa alta o l’educatrice di L’erba cattiva), memoria incarnata (Le verità, praticamente autofiction) o dispersa (Quello che so di lei, Tutti i ricordi di Claire).

Forse è cominciato tutto con la matriarca di Racconto di Natale, dove Arnaud Desplechin la battezza Junon, dea di tutte le donne, donna totale e totalizzante. O forse ci aveva già pensato quel cinefilo di François Ozon, che non può non inserirla tra le Otto donne e un mistero nel suo orgiastico musical e non può non reificarla (illuso, lui) come Potiche, la bella statuina che incarna tutta la Francia e, va da sé, tutto il cinema dominato da Deneuve (gli ombrelli di Cherbourg, il ménage con Gérard Depardieu, la vita segreta della bella di giorno). Tutto parla di lei, nel volto incorniciato da una cascata bionda, nel sorriso dentro al pianto poco prima di uno schianto.

Catherine Deneuve in Les parapluies de Cherbourg
Catherine Deneuve in Les parapluies de Cherbourg

Catherine Deneuve in Les parapluies de Cherbourg

Testimone di un secolo che ha contribuito a plasmare, Deneuve non è mai reduce di se stessa e, non a caso, a quasi ottantadue anni, è una delle poche attrici della sua generazione (oggi ma anche nella storia) a poter rivendicare ruoli da protagonista, di essere il centro del sistema e non un satellite tra tanti.

Moderna per vocazione, desiderio in predicato di ossessione, sfrontata senza fatica (tra le tante avventura, come dimenticare la sua apparizione nella serie Nip/Tuck, dove chiede di farsi impiantare le ceneri del marito nelle protesi mammarie?), Deneuve è unica perché plurale, multiforme poiché incapace di disunirsi. E Spirit World ce la restituisce in tutta la sua complessità, in un crepuscolo che non può non irradiarla in tutto il suo splendore, in quel confine dove passano gli ultimi metrò e dove, chissà, poter ritrovare gli amori perduti e una demoiselle de Rochefort con il volto della sfortunata sorella Françoise Dorleac.