Chiamarsi Elsa, nella letteratura del Novecento, significa nascere sotto una buona stella, o forse proprio da quella luce essere oscurata: così, oltre la regina Morante, un’omonima non merita l’eclissi, si tratta di Elsa de’ Giorgi, nata sotto il sole in Acquario nel 1914 a Pesaro e morta nel 1997 a Roma, sepolta nella piccola, incantevole Bevagna nella tomba di famiglia.

La vita di Elsa de’ Giorgi, la d del cognome minuscola per le nobili origini, è la classica biografia che dovrebbe finire in un libro, o in un film, di cui lei stessa potrebbe essere scrittrice o regista. Era in effetti entrambe le cose, ed era anche un’attrice: una di quelle personalità libere e spudorate, talentuose e refrattarie alle definizioni, una donna libera dal genio non facile e un’indocilità che la rendeva spuria e non organica al suo tempo, alla sottomissione estetica di matrice fascista e a un’industria culturale sotterraneamente dominata dal machismo.

Nonostante il parere contrario del padre, de’ Giorgi vuole fare l’attrice, e ci riuscirà: si trasferisce a Roma, è bellissima, amatissima, ricoperta da lettere di ammiratori e brilla nei film di Pier Paolo Pasolini, Renato Simoni e Mario Camerini, in ruoli diversissimi, spesso piccoli ma indimenticabili. Si sposa, ma parallelamente ha una storia con Italo Calvino, durata qualche anno, che le causa anatemi e imbarazzi da parte del mondo intellettuale, nonché un continuo essere risospinta nell’oblio, e questo nonostante la bellezza innegabile e la forza della sua scrittura.

Fu autrice di un film Sangue + Fango = Logos Passione, che si produsse da sola, e di un romanzo, Storia di una donna bella, in cui raccontava il mondo del cinema che tanto bene conosceva. Ma ciò che davvero resta, oggi, ancora sorprendentemente contemporaneo, e I coetanei, il suo libro di esordio, pubblicato da Einaudi nel 1955 e oggi disponibile nel catalogo Feltrinelli.

Attraverso il racconto dei suoi contemporanei, Elsa de’ Giorgi restituisce una fitta, intima, inusuale ricostruzione della storia d’Italia dal 1940 al 1950: ci sono Anna Magnani e Cesare Pavese, i gerarchi fascisti e l’Italia che entra in guerra, tutto filtrato attraverso una voce narrante femminile, disincantata e sicura. Un’opera preziosa, forte e rappresentativa con la grazia di certe opere uniche, piccoli mondi contenenti un universo.

“Ho visto partire il tuo treno”, incipit di una lettera che Calvino le scrisse negli anni tormentati della loro relazione, è invece oggi il titolo del loro epistolario, definito da più parti uno dei più belli del Novecento. E che forse è il vero seguito dei Coetanei, al quale si accosta come un controcanto.

I coetanei di Elsa de’ Giorgi (Feltrinelli, 293 p., 12,00 €)