“Ho visto Oppenheimer: un tema così complesso, affrontato in quel modo per tre ore, lo rivedrei altre tre volte. Quale film italiano rivedreste altre tre volte? Nessuno, perché i film italiani sono molto brutti e mal scritti”. È scatenato Aurelio De Laurentiis alla presentazione della seconda stagione Vita da Carlo, dal 15 settembre su Paramount+.

“Durante la premiazione dei David di Donatello – continua – ho sentito affermazioni vecchie e stantie, come quella che il cinema non deve tenere conto delle esigenze del pubblico. Ora, ho messo mano a 400 film e il pubblico è sempre stato il mio driver. Ho rinunciato a film che mi piacevano perché il reparto marketing mi diceva che venivano disattese le aspettative degli spettatori. Il cinema deve creare un ponte con il pubblico, ha una funzione sociale ed educativa che non può prescindere dal gusto”.

Ponte che non crea la critica: “C’è da sempre una distorsione nei critici, una prosopopea contro chi premia un film commerciale. Vittorio De Sica è un signore che faceva l’attore dei film popolari e allo stesso tempo ha vinto quattro Oscar da regista. Quando vedi un film come Matrimonio all’italiana o Divorzio all’Italiana di Pietro Germi, pensi: ‘che film!’ (a dire il vero l’espressione è più colorita, ndr) Non abbiamo il culto del nostro cinema, non difendiamo i nostri autori”.

Sulla scelta della serialità: “Per colpa del Covid c’è stato un arresto totale del cinema, con Carlo siamo stati costretti a far uscire il suo ultimo film su piattaforma. Ho debuttato con Un borghese piccolo piccolo, erano altri momenti, la commedia all’italiana era unica perché univa lo sberleffo e la drammaticità. Carlo ne ha preso spontaneamente il testimone, è stimolato quando può giocare con il faceto e la tristezza della condizione umana. Con Vita da Carlo si è rimesso in gioco, si è ridonato una verginità”.

La sfida è globale: “Gli americani sono bravissimi nel fare le serie, c’è una competizione molto pesante: per una serie moderna, non in costume, come Ted Lasso, Apple Tv+ ha speso 30 milioni a puntata”. Sul passaggio da Prime Video (che ha distribuito la prima stagione nel 2021) a Paramount+: “Innanzitutto è il marchio di un grande studio cinematografico, mi confronto con persone che sanno di cosa stiamo parlando. Prime Video non era all’altezza della mise di Paramount. Un vero produttore fa dei contratti senza legarsi le mani al primo che arriva. Paramount+ ha sposato in primo le strategie di lancio che adotto da oltre quarant’anni”.