I giovani Liu Jincai e Gao Tieying sono minatori, Wang Guoqing, Xiao Guang e Liu Jinbao sono disoccupati: tutti vivono nella periferia di Hegang, cittadina della Manciuria. Sono loro i protagonisti di Youth, opera seconda del 32enne cinese Geng Jun in concorso al Festival di Roma.
Chiarissimo prodotto da esportazione (festivaliera), il film rappresenta, forse, il punto più basso della competizione capitolina: se in ogni sequenza il didascalismo para-sociologico per gli occhi occidentali è lapalissiano, la forma è ancora più modesta, e ci ricorda, se ancora ce ne fosse bisogno, come un filmino amatoriale rimanga tale a qualsiasi latitudine.
Innamoramenti, trans-curiosità, suicidi, botte, miseria e morte, tutto è frullato in un mix esotico nelle intenzioni, comico, per lo più involontariamente, negli esiti. Ma serve anche a dire altro, questa Youth without Youth: che qualche attore preso dalla strada potrebbe benissimo ritornarci senza passare dal ciak, che, come scritto da un collega per Plan B, l'etica del cinema povero rischia di trasformarsi nell'estetica del povero cinema e che, dunque, il digitale non è la soluzione libertaria a tutti i mali del Sistema Cinema. Almeno, non lo è per gli spettatori.