Menage a trois con morto. O, se preferite, love-story con fantasma. Il fantasma è Vic (James Thiérrée), performer teatrale dal talento enorme e non pochi problemi di tenuta mentale. L'abc della depressione. Crisi di panico e stati di alterazione emotiva, euforia e rabbia, gioco e tristezza. Passaggi e passaggi, senza soluzione di continuità. Vic rovina la sua vita - si suiciderà probabilmente, di sicuro sparisce di scena, prima l'attore poi l'uomo - e quella delle due donne che lo hanno amato senza risparmio: una filmaker (Marina Hands) e un'infermiera di origine mohawk (Maya Sansa).
Voyez comme ils dansent di Claude Miller (in concorso) prova a riannodare i fili spezzati di una storia - d'amore e di anime - irreparabile, la storia di un lento e inulettabile scivolamento negli abissi della vita. Lo fa con mestiere, solida scuola europea, maestra di non detti e paesaggi interiori; crea un'atmosfera sospesa, di ghiaccio, sepolta dalla neve; si affida al montaggio di tre esistenze inconciliabili, mappando il passato dei suoi gesti decisivi e di scivolamenti sotterranei, da una vita all'altra, da una storia all'altra, sempre a rada nella (non)storia di Vic.
Il regista chiede molto ai suoi attori, in modo diverso: la performance di Thierrée è di una fisicità sconcertante, quella della Sansa tutta trattenuta, la Hands è il punto mediano; e il trio risponde alla grande, con un'adesione che disinnesca il cliché (sempre in agguato nella figura dell'artista maledetto e nei cortocircuiti arte/vita, amore/morte) regalando preziosi accenti di verità. Ma Miller chiede tanto, troppo forse, anche al pubblico, nel momento in cui piazza alla metà del film un colpo di scena francamente improbabile e, peggio, non necessario. Voyez comme ils dansent si spacca in due tronconi ben oltre le intenzioni dell'autore - avrebbero dovuto rappresentare in teoria le due facce non assimilabili del protagonista - rivelando una prima parte parigina decisamente migliore della seconda, ambientata nella bianca e selvaggia riserva canadese, l'Alberta, terra di Mohawk.
Il ritmo cala, l'interesse si sfilaccia, ma il malessere, tormentoso e profondo, resta. Lampi di dolore autentico, che non lascia scampo né ragioni. Per quanto si risalga all'origine. Così tangibile, così impalpabile. Come il bianco che tormentava la Nothomb, che non sai mai dove finisce quando la neve si scioglie.