Il giovane manager Marco Pressi, piacente e benvoluto da tutti i colleghi, si ritrova sommerso dal lavoro e per di più con un incarico estremamente critico - licenziare 25 persone della sua azienda in due mesi - che lo trasforma in un samurai post-fordista. È l'inizio di un precipizio che si apre tra le necessità della professione e dell'umanità, della progettualità e della provvisorietà. A rendere più conflittuale il quadro due donne: quella ufficiale, sospesa tra la reiterazione di un'avventura e il fidanzamento, e quella con cui incroci lo sguardo e non lo vuoi più distogliere. Specularmente a Mobbing - Mi piace lavorare di Francesca Comencini, l'opera seconda di Eugenio Cappuccio sceglie un tema di scottante attualità, ben supportato dal "tagliatore di teste" Giorgio Pasotti, ma contemporaneamente riesce a non appesantire la narrazione, evitando anche la caduta nei soliti qualunquismi sui trentenni d'oggi: "Volevo solo dormirle addosso - afferma il regista - è un film che mette in scena la moderna condizione esistenziale, dove il lavoro ha invaso la vita e la vita si ritrae dal lavoro. Dove il rischio diventa condizione del protagonista e dove i carnefici diventano vittime e le vittime carnefici". Purtroppo, nel finale qualcosa si inceppa: l'immancabile voce fuori-campo tira le somme morali, esplicitando una tesi che retrospettivamente qualifica Volevo solo dormirle addosso come la dimostrazione di un teorema. Cappuccio spazza via allusioni, sottintesi e ammiccamenti in nome dell'imperativo edificatorio: e la fiducia negli spettatori?