Di figure femminili è pieno il cinema della regista tedesca Margarethe Von Trotta, che ha fatto della sua emancipazione, anche a mano armata, la sua cifra di militanza artistica. Dagli Anni di piombo del lontano 1981, film che l'ha resa celebre ai più, ne sono passati di anni, e arrivata al ventunesimo secolo ben pensa di salutarlo per ritornare indietro nel tempo, quello del Medioevo, dove al temuto passaggio di boa dell'Anno Mille, un nuovo sole ricomincia a splendere. Parte da qui Vision, in concorso al Festival di Roma, dopo essere passato a Telluride e Toronto.
Dopo una notte di terrore in chiesa, una moltitudine osserva il sole, e la sua immagine che si distorce, confondendosi con un'iride, quell'occhio della fede che porterà Ildegarda di Binden a essere figura di riferimento nel panorama storico e agiografico del dodicesimo secolo. A 8 anni promessa dal padre al Dio padre, diventerà badessa del Monastero Benedettino a cui è consegnata: si distinguerà per la sua poliedricità, e per la rivelazione delle sue visioni mistiche.
La Vision della Von Trotta la vuole paradigma della lotta di emancipazione femminile, partendo da molto lontano per consegnare un personaggio quanto mai moderno. Del resto, Ildegarda decise anche di emanciparsi pure dall'abate, per “gestire” un suo monastero. Tuttavia, tutto questo non basta per dare respiro a una narrazione impolverata, che scorre lenta e manierata, avvicinandosi all'estetica docu-film su cui la Von Trotta dichiara di essere al lavoro.
Tra up & down di intensità, ma anche di santità (mai riconosciuta a Ildegarda) con la nostra eroina prona ad assorbire o subire il divino, Vision termina con una galoppata delle nostre monache valchirie: incontro al futuro (del cinema?)...