Delizioso ping pong teatrale. Esercizio di stile magistrale. Divertita - e divertente - rielaborazione in chiave cinematografica delle tematiche di Leopold Sacher-Masoch, uno dei pochi nella storia ad essere diventato un sostantivo: sadomasochismo.
Ecco la Venere in pelliccia, dalla piéce di David Ives, che un indomito Roman Polanski fa sua senza cambiare una virgola. Non che ce ne fosse bisogno: Ives pare essere un'estensione di Polanski, Polanski di Ives. Curiosa simbiosi. D'altra parte non è la stessa con-fusione che riguarda Thomas, il protagonista? L'autore uno e trino, ovvero lo scrittore dell'adattamento, il regista e, suo malgrado, l'attore? E non è così – inscindibilmente: “l'Autore” - che lo considera la propria adorabile manipolatrice?
Tolte due sinuose carrellate all'inizio e alla fine del film, Venere in pelliccia è interamente on stage, chiuso tra le quinte di un anonimo teatro parigino, ma è soprattutto inside. “Dentro” non troviamo solo Thomas (Mathieu Amalric) - imbestialito dopo un'infruttuosa giornata di casting (non ha ancora trovato la protagonista del dramma) - e Vanda (Emmanuelle Seigner) - omonimia a parte con la Venere dell'opera teatrale, non sembra possedere i requisiti giusti per la parte - ma tutte le ossessioni del filmaker polacco: l'intreccio di sadismo e desiderio che riguarda regista e attore; il conflitto non risolto uomo-donna; il ribaltamento dei ruoli (chi pensava di manipolare si ritroverà manipolato); la crudele vanità dell'arte; la psicanalisi. Senza dimenticare la metaforicità dello spazio teatrale, locus amoenus e simbolico su cui aleggia lo spettro di altre reclusioni (Polanski e le sue prigioni).
Il tutto messo in scena con impeccabile gusto, senso del ritmo, impagabile leggerezza. Con la complicità di due interpreti sublimi e la regia di un maestro che aggiunge una nuova gemma alla sua già scintillante carriera. E poi viva la coerenza! Al palo ci resta un'altra il maschio, la donna è mobile, vince il film.