“Quando senti il canto delle sirene avvicinarsi sempre di più, prega che questa notte non stiano cantando per te” (Daniel Alatorre, vincitore del 3° concorso regionale di poesia poliziesca).

Dopo il sorprendente Museo - Folle rapina a Città del Messico (che proprio a Berlino, nel 2018, gli valse l’Orso d’Argento per la sceneggiatura) e dopo aver diretto per Netflix un paio di episodi di Narcos: Messico, Alonso Ruizpalacios viene “adottato” dal colosso streaming USA e realizza Una película de policías (A Cop Movie), ardito esperimento filmico che tra sfondamenti della quarta parete e improvvisi ribaltamenti tenta di rispondere alla domanda “che cosa significa essere un poliziotto a Città del Messico?”.

Premiato (non a caso) alla 71ma Berlinale per il montaggio di Yibran Asuad, il film segue dapprima il racconto di Teresa (Mónica Del Carmen, recentemente tra i protagonisti di Nuevo Orden di Michel Franco, per il quale aveva interpretato anche Después de Lucia, mentre nel 2006 era in Babel di Iñárritu), 34enne che da 17 anni presta servizio nelle forze dell’ordine, poi sposta il centro dell’attenzione sul collega Montoya (Raúl Briones), fino a soffermarsi sul rapporto tra i due, “Love Patrol” che si disvela frontalmente, con i due personaggi che si raccontano dal divano di casa.

Ruizpalacios ancora una volta gioca con la metamorfosi continua dei registri, fonde poliziesco (la colonna sonora è più che un indizio) e mockumentary, ci porta dentro le volanti (meravigliosa la prima sequenza notturna con i dialoghi via radio e la visuale affidata alla dash cam, con la quale il regista mette subito in chiaro che quello che vedremo accadere davanti ai nostri occhi non rispetterà quasi mai le nostre aspettative) e a tu per tu con la quotidianità di agenti che, giorno dopo giorno, continuano a chiedersi perché hanno deciso di intraprendere questo tipo di vita.

Alonso Ruizpalacios - cr. Anylú Hinojosa-Peña
Alonso Ruizpalacios - cr. Anylú Hinojosa-Peña
Alonso Ruizpalacios - cr. Anylú Hinojosa-Peña
Alonso Ruizpalacios - cr. Anylú Hinojosa-Peña

Finzione e realtà: proprio come il poliziotto, che nel momento in cui indossa la divisa è chiamato ad interpretare un ruolo, ecco allora che Una película de policías scopre definitivamente le carte. Il metacinema si fonde con il metapoliziesco, un problema tecnico interrompe l’intervista-mockumentary ai due attori. Che tornano ad essere “persone”.

E il film a questo punto ci racconta quello che è accaduto prima, ovvero l’immersione durata oltre 100 giorni di Mónica Del Carmen e Raúl Briones per intraprendere questo viaggio nelle viscere di un mestiere che, guarda caso, finisce per specchiarsi con il loro.

L’addestramento in accademia, i molteplici dubbi (soprattutto per Briones) ideologici e deontologici, il tutto affidato alla fotocamera degli smarthpone, come ci ricorda l’aspect ratio verticale adottato in questo frangente, di contro al widescreen utilizzato in precedenza.

È una scommessa continua (vinta a metà, perché più volte l’idea madre fagocita l’intera tenuta dell’operazione), quella di Ruizpalacios, che finisce nuovamente per sovrapporre realtà e finzione fino al ribaltamento definitivo del prefinale, con i veri Teresa e Montoya che prendono il posto dei due attori. Ma a questo punto la domanda è inevitabile: sono davvero chi dicono di essere? E soprattutto: è tutto vero quello che raccontano?