I canoni della seduzione femminile, dalle parti dell'odierna Città del Capo e tra la popolazione di colore più povera, sono davvero diversi da quelli spagnoli immaginati da un francese nel 1875. Eppure la Carmen nera che si affianca alle tante "Carmen" dell'opera e del cinema spalanca un "nuovo mondo" sui criteri di interpretazione di un eterno mito femminile. All'epoca George Bizet scrisse un capolavoro che avrebbe forato i tempi e le culture; oggi l'esordiente Mark Dornford-May, contando sulle forze artistiche irresistibili della compagnia lirica Dimpho Di Kopane, si appropria del "mito", traduce il perfetto libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy in lingua Xhosa adattandolo mirabilmente a Khayelitsha, una enorme e povera periferia, nella quale la storia precipita fino alla nota tragica conclusione. Comprimendo la struttura musicale nelle due ore, contaminandola con spericolati ritmi locali, e grazie ad un mirabile adattamento drammaturgico, la U-Carmen di Pauline Melafane si muove non come un comune mezzo-soprano ma come una spiritosa, grintosa e vitale donna di oggi in cerca d'amore, soldi  e libertà, contornata da attori-cantanti emozionati. Il mito ne esce indenne e l'amore di Carmen rimane, in una delle poco parti del testo rimasta giustamente ancorata all'originale, "un oiseau rebelle", con l'avvertimento profetico della sigaraia: "si je t'aime, prends garde à toi"!