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Adriana Asti in Prima della rivoluzione
È il caso di dirlo: con Adriana Asti – morta nella notte tra il 30 e il 31 luglio a 94 anni – se ne va un altro pezzo di Novecento. Perché non è stata solo grande signora della recitazione, illuminata dai riflettori – soprattutto teatrali – per oltre settant’anni, ma anche un’intellettuale emotiva capace di imporsi nella vita culturale tout court (è stata amica, complice, sodale di gente come Elsa Morante, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Natalia Ginzburg, Goffredo Parise, Carlo Emilio Gadda, Giorgio Bassani) compiendo scelte perfino dirompenti.
In quel capolavoro televisivo che fu Match, dove l’arbitro (e istigatore) Alberto Arbasino contrapponeva due ospiti accomunati dallo stesso mestiere ma dalle visioni – del lavoro e, a volte, della vita – opposte, l’antidiva Asti si ritrovò contro la diva Silvana Pampanini. Lo scontro è gustoso e l’anagrafe non c’entra (appena sei anni di differenza), con l’imbellettata star del dopoguerra – in pura e inconsapevole apoteosi camp – che osserva con malcelato disprezzo la mise trasandata dell’attrice, con maglione largo e pantaloni a definire lo scarto dal mondo patinato rappresentato dalla collega.
Quel match è interessante perché ci restituisce il carattere di Adriana Asti: autoironica e un po’ impacciata, eppure catalizzante per l’eleganza istintiva, l’affabilità nello scherzo, la leggerezza nella serietà. Pampanini, figlia di un’altra epoca, condannava la tendenza a spogliarsi di Asti, che nuda lo è stata a teatro (Tanto tempo fa di Harold Pinter, regia di Luchino Visconti) e poi nei film più disparati, dai meno blasonati (Paolo il caldo, Homo eroticus, La schiava io ce l’ho e tu no...) ai più illustri (ovviamente Il fantasma della libertà di Luis Buñuel ma anche Una tarantola dalla pelle calda di Susan Sontag), destando scandalo più per il contesto che per se stessa (Caligola di Tinto Brass, sodale anche nell’assurdo Action, dove fa la benzinaia).


Adriana Asti e Joe Dallesandro in Un cuore semplice
(Webphoto)È sbagliato ridurre un’attrice alla scelta di recitare senza veli, eppure, in un momento storico segnato dalla liberazione dei costumi e dalla temperie femminista, Asti ha fatto qualcosa di radicale senza mettere i manifesti: ciò che si sentiva di fare nello spettacolo; ciò che si doveva fare per lo spettacolo. Una libertà dovuta forse a un disincanto ancestrale (raccontava di aver scelto la recitazione solo per poter scappare di casa) e conquistata grazie alla qualità che ha reso il suo volto un ritratto della vulnerabilità: un’autorevolezza senza retorica né artifizio. Un carisma naturale che le ha permesso di non soccombere ai titani (in primis Visconti, Giorgio Strehler, Vittorio De Sica, Lilla Brignone) e di frequentare il cinema con il piacere di non ripetersi mai.
Lo dimostrano la prostituta di Accattone per Pier Paolo Pasolini e la malata terminale di Una breve vacanza di Vittorio De Sica, ruoli che incorniciano quello della nevrotica zia-amante di Prima della rivoluzione diretto dall’allora suo compagno Bernardo Bertolucci: il personaggio è di vibrante e sfaccettata sensibilità, la scrittura le conferisce una statura letteraria quasi romantica e il bianco e nero di Aldo Scavarda le taglia il volto con ombre che ne restituiscono i conflitti interiori. E perfino le occasioni che la vedono al doppiaggio: le devono molto Jacqueline Sassard, Claudia Cardinale in La ragazza con la valigia, Claire Bloom in Il maestro di Vigevano, Stefania Sandrelli in La bella di Lodi (tratto da Arbasino, unica regia di quel Mario Missiroli che la segue anche in teatro), Romy Schneider in Boccaccio ‘70, Anouk Aimée in Le stagioni del nostro amore, la Volpina di Amarcord.


Adriana Asti in La meglio gioventù
(Webphoto)Se fino all’inizio degli anni Ottanta è talmente prolifica da saltellare da un genere all’altro (ricordiamo il dittico con Mauro Bolognini: l’avida e calcolatrice villain di L’eredità Ferramonti e l’amica della saponificatrice nel grottesco Gran bollito), con il passare del tempo si concede sempre meno al cinema (Monica Vitti ne fu straordinaria interprete, ma che peccato non averla vista nell’adattamento di Ti ho sposato per allegria, cavallo di battaglia sul palcoscenico), preferendo l’amato teatro (gli allestimenti con il compagno Giorgio Ferrara, che l’ha diretta anche nel film Un cuore semplice da Flaubert, ma anche con Andrée Ruth Shammah e Luca Ronconi).
Il meglio lo dà con l’amica Franca Valeri (recuperare il duetto Tosca e altre due, trasposizione di uno dei loro leggendari spettacoli) e soprattutto Marco Tullio Giordana, che oltre a concederle un congedo struggente (l’altrimenti trascurabile Nome di donna, impreziosito da una sua apparizione in bilico tra realtà e finzione) le regala il memorabile ruolo della dolce matriarca dell’epica piccolo borghese La meglio gioventù: la “scena dei libri” è uno dei momenti più devastanti del cinema italiano degli ultimi decenni. D’altronde chi meglio di lei per accompagnare una famiglia italiana dal Novecento al terzo millennio?