Una Cina né rurale né metropolitana fa da sfondo al debutto di Vivian Qu, Shuiyin Jie (Trap Street). Siamo infatti ai margini di un agglomerato urbano, tra vie poco frequentate e vicoletti con abitazioni appena sufficienti per viverci dentro e stanze di alberghi minuscole come alveari. Li Qiuming, mentre percorre in lungo e in largo le strade delperiferia per operare dei rilievi per conto di una compagnia di sistemi satellitari, rimane folgorato da una ragazza. Che da quel momento in poi diventa la sua ossessione. Un'ossessione pericolosa che poco ha di magnifico. Intorno alla sua figura ben presto infatti si aggrovigliano i nodi di un mistero impossibile da dipanare. Mentre cerca di ritrovarla si accorge di essere dentro un meccanismo in cui altri stanno seguendo le sue tracce. Cosa ha visto? Quali segreti ha scoperto?  Il cacciatore diventato preda deve chiedersi su quanto i suoi occhi hanno catturato al di là della percezione cosciente.
Tra l'Antonioni di Professione reporter e Blow Up e il Greenaway de I misteri del giardino di Compton House, Vivian Qu costruisce un film perfetto per forma e sostanza. Un'opera che si interroga costantemente sui limiti della macchina cinema nonché dell'occhio umano. Il giovane ha visto ma non sa di averlo fatto, l'obiettivo ha catturato la verità che pure continua a sfuggire allo sguardo di chi guarda. Il tutto moltiplicato da telecamere che spiano e microfoni che origliano. Nessuno è solo, nemmeno nell'intimità della camera di albergo dove Li Qiuming riesce a portare la ragazza finalmente ritrovata.