Le giornate sono piovose, le notti buie e infestate di fantasmi ma Daniel Radcliffe, ex Harry Potter ora Arthur Kipps, si aggira sullo schermo sfoggiando l'aria da eterno ragazzo incuriosito da tutto ciò che è misterioso e sovrannaturale. Smettere i panni dell'apprendista mago per entrare in quelli del giovane avvocato di The Woman in Black non deve insomma essergli costata una gran fatica, viste le affinità tra i due personaggi. E non è colpa da imputare solo all'attore se non ha sfidato se stesso con qualcosa di nuovo, giacché è noto quanto le spietate macchine produttive tendano a rinchiudere le star in ruoli che si somigliano tutti. Certo maggiore attenzione gli avrebbe evitato di buttarsi in un'operazione che nonostante il contorno di atmosfere cupe, bambini inquietanti e tipi assai poco raccomandabili come si conviene alla Hammer che ha prodotto la pellicola, sa decisamente di vecchio.
Il limite del film è di rispolverare i classici topoi narrativi della casa di produzione inglese senza attualizzarli, mentre lo spettatore di oggi si aspetta ben altre sollecitazioni visive. Non bastano la villa isolata con annesso cimitero, la palude, le croci né gli spiriti a far sobbalzare sulla sedia. E persino la maledizione per cui i bambini del villaggio sono inspiegabilmente spinti al suicidio, è di sin troppo facile decifrazione per l'appassionato del genere. Resta da chiedersi se l'obiettivo non fosse proprio quello di realizzare un'opera old style in aperta contrapposizione agli horror contemporanei così pieni di effetti speciali, nel qual caso siamo di fronte a un'operazione nostalgia che tuttavia un autore come Tim Burton ha declinato con risultati assai diversi. The Woman in Black ha però dalla sua un notevole punto di forza e cioè la variabile Radcliffe, che in barba alle incompiutezze del film potrebbe far saltare il banco con la sua sola presenza. La risposta al botteghino.