Mohsen Makhmalbaf è tra i pochi registi al mondo capaci di camuffare la realtà nella favola, la favola nella realtà. Come per altri precedenti lavori, anche in The President (Orizzonti), questo doppio e reversibile travestimento - raddoppiato dal mascheramento cui devono sottoporsi i personaggi - non è un gioco fine a se stesso ma nasce da un'esigenza estetica e morale profondamente connessa da un lato allo status di "ricercato" che il regista iraniano sconta ancora in patria e dall'altro alla volontà di esibire la finzione cinematografica come chiave di volta della storia.
Siamo in un paese immaginario, dove un vecchio e pericoloso dittatore (l'ottimo Misha Gomiashvili) e il suo nipotino (l'incantevole Dachi Orvelashvili) sono costretti a fuggire e a nascondersi dopo che un colpo di Stato ha decretato la fine del regime e messo una taglia sulla loro vita. Nel corso del loro peregrinare s'imbatteranno in un'umanità sfibrata e sofferente proprio a causa delle persecuzioni e delle violenze perpetrate dal despota, mentre il bambino, convinto si tratti tutto di un gioco, inizia a fare al nonno domande scomode.
Commedia e tragedia, allegoria e realismo, si incastrano alla perfezione in una messa in scena potente e cristallina, in cui l'ironia non scade mai nella farsa né, viceversa, il dramma sconfina nella pornografia del dolore. Innumerevoli i rimandi al presente, ambiguo il giudizio (se le dittature sono odiose, che dire delle rivoluzioni che vogliono abbatterle, quasi sempre innescate dal desiderio di vendetta e degenerate nel sangue?), ma The President è soprattutto una storia universale, dal linguaggio semplice e i risvolti complessi.Un apologo che parla di bambini ai bambini per dire agli adulti degli adulti: una lezione di stile - e di etica - magistrali.