La Fondation Brigitte Bardot ha annunciato oggi, 28 dicembre 2025, la morte della sua fondatrice, a 91 anni, senza indulgere nei dettagli – né luogo né circostanze – come a difendere fino all’ultimo quella privacy che la star, pretendeva per sé da decenni. Un diritto precluso ai miti e BB lo è stato e lo sarà ancora a lungo. Si sapeva che stava male: il ricovero di ottobre a Tolone, dopo tre settimane in ospedale e un intervento per una “grave malattia”; poi, a fine novembre, una nuova ospedalizzazione sempre a Tolone; infine, a inizio dicembre, il comunicato (Reuters) con cui Bardot chiedeva calma e rispetto, mentre sul web rimbalzavano voci e fake news sulla sua morte.
La notizia era falsa finché non è diventata vera.

Bardot nasce a Parigi il 28 settembre 1934; studia danza, posa, finisce in copertina, arriva al cinema con quella combinazione irresistibile di disciplina e disobbedienza, il corpo “educato” della ballerina e l’indolenza della primadonna che non accetterà mai di essere addomesticata del tutto.
Il primo snodo è sentimentale e professionale insieme: Roger Vadim, primo marito e regista, la guarda come si guarda un’epoca che sta per cominciare.

Et Dieu… crea la femme (1956) @Webphoto. Supplied by Capital Pictures
Et Dieu… crea la femme (1956) @Webphoto. Supplied by Capital Pictures
BRIGITTE BARDOT in And God Created Woman (Et Dieu Crea La Femme) *Editorial Use Only* www.capitalpictures.com sales@capitalpictures.com Supplied by Capital Pictures (Supplied by Capital Pictures)

Poi arriva Et Dieu… créa la femme (1956) e il resto non è più “carriera”, è mitologia: una ragazza di Saint-Tropez (che il film trasforma in idea di mondo) diventa improvvisamente un’abbreviazione, un codice: BB. Brigitte Bardot Impone un modo di muovere i fianchi e insieme un modo di stare nella società: non serve più la vamp, troppo impostata, “calcolata”, ma una sensualità scomposta, solare, indocile, che sembra dire: non sono qui per piacervi. E per questo piaceva anche di più.

La sua filmografia (oltre cinquanta film) non brilla per varietà, le toccavano ruoli spesso simili – ribelli, liberi, scandalosi per definizione – ma con alcune gemme come La Vérité (1960) di Clouzot, dove la Bardot porta in tribunale un’intera idea di femminilità messa sotto processo; Il disprezzo (1963) di Godard, con il maestro della Nouvelle Vague che assorbe l’icona dentro un film che parla (anche) di come il cinema guarda e consuma le persone; o Viva Maria! (1965) di Louis Malle, mix di avventura e commedia, con la star che gioca con la propria immagine senza smettere di dominarla. E poi ci sono i film meno “canonici” ma decisivi per l’immaginario, dove la Bardot basta a sé stessa.

Brigitte Bardot in Femmina (1959) @Webphoto
Brigitte Bardot in Femmina (1959) @Webphoto

Brigitte Bardot in Femmina (1959) @Webphoto

Parte della sua forza – e della sua prigione – è che la sua vita è stata trattata come un genere narrativo: matrimoni (quattro), amori celebri, un figlio, uno showbiz europeo che la inseguiva come si inseguono le comete. Lei, col tempo, avrebbe denunciato letto tutto questo come una forma di violenza.

Se il cinema l’ha resa corpo universale, la musica le ha permesso di essere persona: più leggera, più ironica, più umana. “Moi je joue” (1964) è già un manifesto: “Io gioco”, mi sottraggo, mi avvicino, poi sparisco, come se l’amore fosse un eterno e rapido montaggio di momenti che si annullano. E poi c’è “Harley Davidson” (1967), pieno alfabeto pop degli anni Sessanta, desiderio trasformato in slogan e viaggio in dichiarazione d’intenti. Infine, il capitolo Gainsbourg. “Je t’aime… moi non plus” fu scritta e registrata con Bardot nel 1967, ma lei ne chiese la non pubblicazione; Gainsbourg la reincise poi con Jane Birkin nel 1969 e la canzone diventò scandalo globale.

Brigitte Bardot e Marcello Mastroianni in Vita privata (1962), @Webphoto
Brigitte Bardot e Marcello Mastroianni in Vita privata (1962), @Webphoto

Brigitte Bardot e Marcello Mastroianni in Vita privata (1962), @Webphoto

BB è stata una delle pochissime star a diventare simbolo nazionale, quando nel 1969 lo scultore Alain Aslan realizza un busto della Marianne con le sue sembianze. E poi c’è il costume: capelli, scollature, ballerine, quadretti vichy, quel misto di innocenza e insolenza che ha fatto scuola. Come scrive Le Monde, Bardot non era solo un volto, era un lessico.

Viva Maria (1965) @Webphoto
Viva Maria (1965) @Webphoto

Viva Maria (1965) @Webphoto

Non stupisce che un’intellettuale come Simone de Beauvoir la prenda sul serio già nel 1959, leggendola come figura-chiave di una modernità che sposta l’asse del desiderio e, insieme, lo mercifica.

Nel 1973, a 39 anni, Bardot si ritira. Da lì in avanti la sua energia confluisce in un’unica causa: gli animali. Nel 1986 fonda la Fondation Brigitte Bardot, che diventa il suo nuovo set, la sua nuova trama, la sua nuova immagine pubblica. Ma l’ultima Bardot è anche, inevitabilmente, una figura che divide. Le sue prese di posizione politiche (spesso associate all’estrema destra) e soprattutto le dichiarazioni su immigrazione e Islam le procurano condanne per incitamento all’odio razziale (cinque in undici anni). La donna che aveva incarnato, per molti, un’idea di libertà, finisce per usare quella libertà (di parola) come un’arma.

Resta, oggi, una figura quasi fuori scala per complessità: fondatrice di un immaginario e insieme prigioniera di quel medesimo immaginario; emblema di emancipazione e, col tempo, presenza polarizzante; star che ha trasformato Saint-Tropez in un pianeta e poi ha scelto di vivere appartata, circondata da animali, come se il mondo umano fosse troppo rumoroso. Impossibile da ricordare con un unico aggettivo, Brigitte Bardot è stata un campo di battaglia tra sguardo e diritto a sottrarsi, tra desiderio e potere, tra amore per gli animali e durezza verso gli esseri umani. E in questa scomoda contraddizione continuerà quasi certamente a vivere.