Un film che si apre con la strage degli innocenti e si chiude col Magnificat. Catherine Hardwicke guarda il Natale attraverso gli occhi di Maria, di cui offre un ritratto sottile e insolito, e alla cui adolescenza rivolge sguardi attenti e inteneriti. Maria ci viene mostrata nella povera quotidianità di Nazareth, tra le ragazze del suo villaggio, intente alla semina. Keisha Castle-Hughes, la giovanissima attrice che la interpreta, ha un volto che sa incupirsi di caparbietà infantile e illuminarsi di fiducia. Non è la più graziosa, non è la più vivace, niente indica in lei l'eccezionalità della prescelta. Eppure, per un disegno misterioso, è lei che Dio ha benedetto fra le donne. È poco più di una bambina, si unisce al coro dei piccoli che imparano la Bibbia, ripete, senza capire veramente, che Dio non è nel fuoco, né nel vento, ma in un mormorio indistinto, appena percepibile. Un giorno suo padre le comunica che sposerà Giuseppe. È un uomo buono, onesto, sensibile. Ma Maria non lo ama. Perché non può decidere della propria vita? Perché altri devono sceglierle il marito? E poi accade l'inaudito. Dio manda il suo angelo in un mormorio leggero, nel fruscio d'un volo d'uccello. Le annuncia l'impossibile, e sembra abbandonare l'eletta al pubblico ludibrio, ai sorrisi maliziosi, ai pettegolezzi della gente. Perfino al pericolo della lapidazione. Nemmeno Giuseppe è disposto ad accettare un simile disonore. Ma Maria non implora di essere creduta, ha il coraggio della sincerità. Alla vivacità della comunità di Nazareth, si contrappone il mondo livido e immobile dei potenti. Erode, cui Ciaran Hinds presta un volto che ha la fissità grave delle maschere funebri, è ossessionato dalla paura di perdere il potere e si sta costruendo una tomba. Nella rappresentazione della nascita di Cristo il film perde di originalità, o piuttosto non la cerca, preferendo una raffigurazione tradizionale del presepe, quasi che il cinema facesse un passo indietro per inchinarsi al Mistero. Il Magnificat chiude il film, ma pervade in realtà ogni scena. Assente al momento della visitazione - a parte un bellissimo accenno all'"umiltà della sua serva" ("Perché io? Non sono niente.") - ritorna nel finale, durante la fuga in Egitto, quando Maria medita nel suo cuore le parole sgorgate nel pieno della gioia. "Grandi cose ha fatto l'Onnipotente": si è fatto compagnia agli uomini, pellegrini nel deserto.