Michael Hoffman, regista di molti film ma di nessun capolavoro, trova inizialmente la strada giusta per affrontare un biopic in costume, lasciando scorrere una buona dose di brio ed evitando a piè pari il ritratto sussiegoso, sostenuto da un cast indovinato e da un buon senso del ritmo. Purtroppo il film scivola presto nel melodramma ampolloso, e non rimane che elogiare la bravura degli attori e l'accuratezza della ricostruzione storica. Un vero peccato.

Lo scrittore russo Lev Tolstoj (Christopher Plummer) è stato un personaggio sorprendente: negli ultimi anni di vita, dopo aver prodotto immortali capolavori letterari e tredici figli, decide di rinunciare al titolo nobiliare e a ogni bene materiale in nome della religione/movimento da lui creata e che porta il suo nome. Sua moglie, la contessa Sofja (Helen Mirren), non è d'accordo e i due, pur amandosi alla follia, si scontrano quotidianamente. Il timido segretario Valentin (James McAvoy) è il confidente di entrambi e diventa un manzoniano “vaso di terracotta” costretto tra due personalità indomabili. Ma è anche l'anello debole di una sceneggiatura con pochi guizzi. Estenuante il finale (con agonia di Tolstoj) nella stazione ferroviaria del titolo.