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(Cinematografo/Adnkronos) – Il 21 dicembre 1925, al teatro Bolshoj di Mosca, in piena Russia sovietica veniva presentato per la prima volta "La corazzata Potëmkin", film destinato a diventare non solo uno dei simboli del Novecento, ma una vera e propria cesura nella storia del linguaggio cinematografico.
A distanza di cent'anni da quella serata leggendaria - durante la quale il regista Sergej Michajlovič Ėjzenštejn completò materialmente il montaggio degli ultimi rulli mentre il film era già in proiezione - l'opera conserva intatta la sua forza estetica, politica ed emotiva, continuando a interrogare lo spettatore contemporaneo.
Prodotto dal Goskino e diretto dal ventisettenne Ėjzenštejn, "La corazzata Potëmkin" è un film muto in bianco e nero della durata di poco più di settanta minuti (72 minuti a 18 fotogrammi al secondo). Girato nel 1925 e ambientato vent'anni prima, nel giugno del 1905, la pellicola rielabora un episodio reale della prima rivoluzione russa: l'ammutinamento dei marinai della corazzata "Principe Potëmkin di Tauride", ancorata nel Mar Nero. Ma ridurre il film a una semplice ricostruzione storica sarebbe profondamente limitante. Come affermò lo stesso Ėjzenštejn, "Potëmkin sembra un film di cronaca, ma colpisce come un dramma".


La struttura narrativa è infatti rigorosa e simbolica. Il film è suddiviso in cinque "atti", come una tragedia classica: 'Uomini e vermi', 'Il dramma nella baia di Tendra', 'Il morto invoca vendetta', 'La scalinata di Odessa', 'L'incontro con la flotta zarista'. Non esiste un protagonista nel senso tradizionale del termine: al centro dell'azione si muovono "eroi collettivi", figure che incarnano forze storiche e sociali. I marinai rappresentano la coscienza rivoluzionaria che si risveglia; la popolazione di Odessa diventa il volto della solidarietà civile; ufficiali, cosacchi e apparati militari simboleggiano l'oppressione del regime zarista.
Il punto di partenza è minimo e concreto: la rivolta scoppia per un piatto di boršč preparato con carne putrefatta, infestata dai vermi. Da questo dettaglio materiale - quasi banale - nasce una ribellione che assume progressivamente una dimensione morale e politica. Il marinaio Vakulinčuk, interpretato da Aleksandr Antonov, tenta di impedire la fucilazione dei compagni e muore durante i disordini. Il suo cadavere, esposto a Odessa con il cartello "Morto per un cucchiaio di minestra", diventa il catalizzatore di un'indignazione collettiva che travolge la città e culmina nella celeberrima sequenza della scalinata.
È proprio la scena della scalinata di Odessa a rendere "La corazzata Potëmkin" un'opera universale. Storicamente inesatta - il massacro non avvenne né in quel luogo né in quelle modalità - essa possiede però una verità simbolica più profonda. La repressione cosacca, mostrata attraverso stivali che avanzano meccanicamente e fucili che sparano senza volto, contrapposta ai primi piani di donne, anziani e bambini, costruisce un'immagine indelebile della violenza del potere contro l'innocenza. La carrozzina che precipita lungo i gradini, spinta dalla madre morente, è diventata una delle icone assolute del cinema mondiale, citata, omaggiata e rielaborata da generazioni di registi.


Dal punto di vista formale, "Potëmkin" rappresenta il culmine dell'avanguardia cinematografica degli anni Venti. Ėjzenštejn elabora qui la sua teoria del "montaggio delle attrazioni": le inquadrature, spesso brevissime, non servono a raccontare una storia in modo lineare, ma a colpire lo spettatore, a scuoterlo, a costringerlo a partecipare attivamente alla costruzione del senso. Il montaggio diventa ritmo, conflitto, idea. Le immagini non si sommano: si scontrano. È il cosiddetto "cine-pugno", opposto al "cine-occhio" di Dziga Vertov, pensato per produrre uno shock emotivo e intellettuale.
L'estetica del film dialoga con i grandi movimenti artistici del Novecento. Il cubismo emerge nella scomposizione del gesto e del movimento; il costruttivismo nella "poesia delle macchine", con i motori della nave che diventano metafora del cuore collettivo dei marinai; l'espressionismo nella rappresentazione delle paure e delle sofferenze delle masse; persino il surrealismo affiora in immagini disturbanti come la carne in decomposizione, trasformata in paesaggio morale della corruzione del potere. A tutto questo si aggiungono riferimenti alla tragedia classica e all'iconografia cristiana, come nella sequenza che richiama esplicitamente la Pietà.
Anche la produzione del film contribuisce alla sua leggenda. Nato inizialmente come episodio di un progetto più ampio sulla rivoluzione del 1905, "Potëmkin" venne isolato per ragioni pratiche e artistiche. Girato in gran parte a Odessa, con attori non professionisti scelti tra marinai e cittadini, il film rinuncia al divismo per privilegiare la forza della collettività. La corazzata originale, già demolita, fu sostituita dalla nave Dodici Apostoli, restaurata in fretta per le riprese. Il perfezionismo di Ėjzenštejn rallentò il lavoro, ma contribuì a definire uno stile rigoroso e coerente.
Il film non fu solo un evento artistico, ma anche politico. Realizzato in un momento di transizione dell'Unione Sovietica, durante la Nuova Politica Economica di Lenin, "La corazzata Potëmkin" non celebrava direttamente il colpo di Stato bolscevico del 1917, bensì recuperava ideali più ampi e universalmente condivisibili: libertà, uguaglianza, fratellanza. Proprio per questo, nonostante il successo in patria, l'opera fu censurata o vietata in molti Paesi occidentali, soprattutto durante l'ascesa dei regimi totalitari. Solo dopo la Seconda guerra mondiale il film cominciò a circolare liberamente, affermandosi come un classico indiscusso.


Nel corso dei decenni, Potëmkin è stato accompagnato da diverse colonne sonore: da quella originale di Edmund Meisel, composta in dodici giorni, alle musiche di Nikolaj Krjukov e Dmitrij Šostakovič, fino a rielaborazioni moderne. Ogni versione ha cercato di dialogare con il ritmo interno delle immagini, a conferma del carattere quasi 'musicale' del montaggio ejzenštejniano.
A cento anni dalla sua presentazione al Bolshoj, "La corazzata Potëmkin" resta un punto di riferimento imprescindibile per la storia cinematografica. Ha influenzato cineasti come Carl Theodor Dreyer, Alfred Hitchcock, Luchino Visconti, Jean-Luc Godard, Satyajit Ray, ma anche artisti e intellettuali al di fuori del cinema, da Bertolt Brecht a Pablo Neruda, da Dmitrij Šostakovič a Francis Bacon. E infine è stata anche parodiata in chiave popolare, come testimonia "Il secondo tragico Fantozzi" (1976) di Luciano Salce. Inserito stabilmente nelle classifiche dei migliori film di tutti i tempi, non è solo un monumento storico, ma un'opera ancora viva, capace di parlare al presente.
Forse è proprio questo il segreto della sua longevità: "Potëmkin" non racconta solo una rivolta del passato, ma mette in scena il momento eterno in cui la rassegnazione si trasforma in coscienza, il dolore in indignazione, la paura in solidarietà. Un secolo dopo, quelle immagini continuano a interrogare, ricordando che il cinema, quando raggiunge la sua massima intensità, può essere molto più di uno spettacolo: può diventare esperienza, memoria e presa di posizione. (di Paolo Martini)
