Avviso ai naviganti in Mostra: Al Pacino è vivo, vegeto e lotta con noi. Discreto in Manglehorn (Concorso), superbo qui: The Humbling, adattamento del romanzo omonimo (L'umiliazione) di Philip Roth firmato da Barry Levinson.
Fuori Concorso – invertire il dentro / fuori dei due titoli di Al avrebbe giovato… - lo ritroviamo nei panni, nelle vestaglie di Simon Axler, famoso attore teatrale giunto al capolinea: cade in depressione e cade, meglio, si lancia dal palco, cercando il suicidio. Dunque? Rehab, e poi psicoterapia via Skype. Con il teatro ha chiuso, il dono della recitazione s'è dissipato, la vita stessa sta per raggiungerlo: Simon sopravvive, quando dal passato sbuca una sua vecchia “fan”, figlia di due vecchi amici: Pegeen (Greta Gerwig), tre decadi in meno, lesbica. Eppur si muove, ed è la vita di Simon: chi l'avrebbe detto? Tra pazze furiose che vorrebbero commissionargli l'omicidio del coniuge, ex di Pegeen stalker o passate ad altro sesso e – forse sì, forse no – il ritorno in scena e/o in pubblicità, Simon cerca di dribblare l'età che avanza, le ossessioni che ritornano e un'inedita dipendenza: Pegeen…Senza spellarsi le mani, ma qualche applauso The Humbling lo merita, anche al di là della mesmerizzante, larger than life ma neanche troppo gigiona prova di Al Pacino che inizia a recitare allo specchio e non lo molla più: quanto c'è di Simon in Al, quanto di Al in Simon, quanto di entrambi in tutti noi? Arte-vita con tutti gli incastri del caso: non è una novità, e il finale King Lear insegna, ma la trasposizione gode dei strepitosi dialoghi di philiprothiana memoria, la prova solida della Gerwig, la fedeltà ondivaga ma sostanziale all'architettura poetico-esistenziale del film. E, sì, si ride: che volete ancora? Bravo Al, bravini tutti.