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Tilda Swinton in The End
A causa di una catastrofe ambientale che ha distrutto la civiltà umana, una famiglia abita da vent’anni in una miniera sotterranea per sfuggire all’apocalisse soprastante. Un giorno la loro routine viene sconvolta dall’arrivo inaspettato di una ragazza proveniente dall’esterno. Joshua Oppenheimer ha raggiunto la notorietà internazionale grazie al dittico di documentari incentrati sul genocidio avvenuto in Indonesia negli anni Sessanta, caratterizzati dall’ibridazione fra cinema del reale e ricostruzione finzionale, particolarmente evidente in The Act of Killing.
Dopo aver frequentato l’ambito documentario, l’autore sceglie di dedicarsi alla narrazione finzionale e, in particolare, al genere che mostra in modo più esibito la propria natura fittizia: il musical. In questo modo, Oppenheimer entra a far parte di una nutrita schiera di documentaristi che, dopo aver sperimentato varie tipologie di commistioni fra cinema del reale e fiction, abbandonano la componente documentaria per dedicarsi alla finzionalità, come fece anni fa Pietro Marcello e, recentemente, Roberto Minervini.
Il gusto per la mescolanza di elementi eterogenei permane anche in The End, in anteprima italiana al Biografilm. Oppenheimer realizza un film basato sullo scontro e sulla frizione degli opposti che lo costituiscono, finendo col creare un film ossimorico, determinato dalla contrapposizione fra generi discordanti, oltre che fra temi e forma con cui vengono presentati.


The End
(NEON)Nel primo caso, l’ambientazione apocalittica tipica del filone della fantascienza distopica viene associata ai balli e ai canti caratteristici del musical; nel secondo, la trattazione di tematiche attuali ed estremamente importanti, come il pericolo ecologico-ambientale e le spinte migratorie che premono sui confini europei e nordamericani (simboleggiati dalla ragazza nera che improvvisamente entra nel microcosmo della miniera abitata dalla ricca e borghese famiglia bianca), viene inserita in un contesto onirico, determinato dalle canzoni e dai balli propri del musical.
Questi contrasti vengono sottolineati dal regista tramite alcuni espedienti linguistici, a partire dal diverso uso della macchina da presa, divisa fra accentuato dinamismo proprio delle sequenze dedicate alle canzoni, in cui accompagna il movimento degli attori tanto da trasformarsi quasi in un altro personaggio, e statica fissità nelle altre scene.
Film affascinante per la sua capacità di trarre energia dalla contrapposizione degli elementi divergenti che lo compongono, The End è il terzo lungometraggio della carriera di Oppenheimer, regista capace di realizzare una filmografia stilisticamente coerente e riconoscibile, nonostante il numero esiguo di elementi che la costituiscono.