In Concorso al Festival di Roma, Bei Mian (The Back), quarto lavoro del regista Liu Bingjian a sei anni dall'ultimo Plastic Flowers, è un'opera in cui l'autore fornisce una rilettura contemporanea e orrorifica della rivoluzione culturale maoista e dei suoi aspetti più nascostamente e follemente crudeli. Affermatosi negli anni '90 come regista stridente e scomodo (Men and Women), in quest'ultimo progetto franco/hongkonghese Bingjian sfoggia una narrazione noir sospesa ed radicale, tratteggiando la figura di un trentenne, Hong Tao, segnato psicologicamente dal  passato fervore iconografico del padre, pittore ufficiale del regime e ossessionato da Mao Tse-Tung (spintosi tanto in là da tatuare, dolorosissimamente, corpi umani, compreso il piccolo Hong). Un protagonista che si muove nell'universo delle gallerie d'arte e nei mercatini di memorabilia, in un mondo di ricordi della rivoluzione culturale che nascondono inquietanti segreti e personaggi spregiudicati, nascosti dietro l'attuale invasamento consumistico del Dragone. Segreti, terribili e angosciosi, incisi nella pelle stessa dei protagonisti. La rivoluzione, culturale e non, è alle spalle, ma sembra esercitare ancora un perverso (e mercantile) fascino.