Si dice "parassita" e si pensa subito a qualcosa o qualcuno di fastidioso e sconveniente. Una piattola, un moscone, un insetto appiccicoso e insistente che non ti lascia in pace. La coppia protagonista di Tender Parasites, coregia dei tedeschi Christian Becker e Oliver Schwabe, offre una differente tipologia di ospite infestante. Martin (Sylvester Groth) e Manu (Maja Schone) sono due ragazzi che vivono con materassino, stuoia e fornelletto in mezzo ad una teutonica foresta nera. Per sopravvivere si inventano identità e ruoli sociali all'interno di case e famiglie a cui manca un tassello. Manu, per esempio, è diventata una sorta di nipote/badante di una vecchia signora. Martin, dopo essersi fatto volontariamente ferire da un aliante in atterraggio, scopre che il pilota di quel velivolo e sua moglie sono rimasti senza figlio (che oltretutto gli somiglia come una goccia d'acqua). Una volta intuite le falle, i due s'intrufolano nelle diverse abitazioni e usufruiscono di fiducia e spazi casalinghi per condurre una vita normale, tranquilla, fatta di bagni nella vasca e pasti caldi consumati a tavola.
Una sorta di silente e per nulla offensivo rifiuto degli standard tradizionali del mondo del lavoro. Martin e Manu più che trovare un'occupazione, occupano spazi, colmano vuoti che materialmente esistono. Una ricerca naturale di tetto e cibo, di affetto e calore umano, senza piegarsi alle scontate abitudini della vita attiva. I giovani Becker e Schwabe mettono in scena l'anomalia e l'inaspettato, il moralmente deprecabile refrattario alle regole che in ogni pellicola "adulta" o diretta da "adulti" rischierebbe un giudizio moralista quasi automatico. La messa in scena rispetta i canoni asettici di un'estetica fatta di non-luoghi e di personaggi per nulla glamour, come di una tecnica narrativa che rifiuta la soggettività del racconto in prima persona. In Tender Parasites si mescolano così pedinamento e osservazione, criticità e rispetto dei caratteri in scena, silenziosità di fondo del mondo esplorato e repentini scatti di motivata ira. La dimostrazione di un'attuale, possibile, alternativa, e a suo modo ribelle, scelta esistenziale.