Ci si accorge di quanto sia cambiato il mondo anche da queste cose. Alzi la mano chi, solo qualche anno fa, avrebbe immaginato di vedere un giorno Tarzan prodotto da una società tedesca (la Constantin film), diretto da un tedesco (Reinhard Klooss) e realizzato completamente in Germania (presso i Bavaria Studios). Non avevamo ancora finito di ammirare l'eccellenza digitale a cui è pervenuto il cinema transalpino con il recente La bella e la bestia (che almeno è una storia francese, anche se ormai si pensava l'avesse inventata Disney), che un vero e proprio atto di lesa maestà rompe il monopolio hollywoodiano, perpetrato stavolta dagli infidi teutonici dentro il recinto aureo dei miti di fabbricazione americana. Partorito dalla penna di uno scrittore di Chicago, Edgar Rice Burroughs, e magnificato dal fumetto prima e dal cinema poi, Tarzan è un eroe americano fatto e finito, un intoccabile dell'immaginario Usa alla stregua dei supereoi Marvel. Che cosa dovremo aspettarci in futuro, un Superman polacco e un Batman italiano (anche se con Fiorito c'eravamo già portati avanti)?
L'affronto ha il sapore della beffa se si pensa che il Tarzan tedesco è stato realizzato in performance capture (e in 3D!), tecnologia di cui gli americani vantavano di essere pionieri e unici custodi. Invece dopo tre anni di lavorazione ed n milioni di euro spesi (impossibile sapere l'esatto ammontare del budget: i tedeschi sono un popolo di riservati), il paese di Goethe, Hegel, Hitler e la Merkel ha sfornato un esemplare tecnologico che non ha nulla da invidiare ai mirabilia dei grandi Studios. Così, dopo i Tarzan in carne e ossa interpretati da ex poliziotti (Elmo Lincoln nel 1918), ex pompieri (Gene Pollar), ex cantanti (Perce Dempsey Tabler), ex cascatori (Frank Merrill), ex campioni di nuoto (John Weissmuller) ex cultoristi (Gordon Scott), ex giocatori di football (Mike Henry) ed ex attori (Christopher Lambert), tocca oggi a un ex modello digitalizzato (Kellan Lutz) vestire, pardon svestire, i panni dell'uomo-scimmia: anche questo è un segno dei tempi.
Rispetto all'originale di Burroughs, Klooss (anche sceneggiatore e produttore) aggiunge un prologo, in cui un gigantesco meteorite colpisce la terra provocando l'estinzione dei dinosauri. Passano 70 milioni di anni e quel meteorite, nascosto da qualche parte della giungla africana, fa gola a un esploratore e a un imprenditore suo amico in cerca di avventure, John Greystoke, di stanza nel continente nero con moglie e figlioletto al seguito. Va da sé che il piccolo Greystoke è destinato a restare lì da solo e a diventare Tarzan, il signore della Giungla, dopo aver contratto una nuova famiglia, stavolta di gorilla. Seguono logopedia scimmiesca, viaggi in liana, incontro con Jane, scontro con avidi capitalisti senza scrupoli e tutto quanto fa parte dell'arcinota enciclopedia tarzaniana, al netto di Cita e degli elefanti, incomprensibilmente scomparsi nella vulgata ariana dell'uomo scimmia.
Klooss propende per un approccio squisitamente infantile, ammorbidendo le letture più scabrose del mito (lo scandalo darwinista della filiazione dalla scimmia, le stoccate alla civilizzazione, la ritrovata verginità della donna di città) in favore dei suoi aspetti più avventurosi. Impossibile non condividere la gioia del protagonista mentre volteggia tra gli alberi come un uomo ragno in mutande e scopre mondi sempre nuovi all'interno del proprio paradiso terrestre. Klooss difetta d'immaginazione ma almeno assimila bene mentre ci conduce tra fiori occhiuti, alberi luminosi e creature mitologiche, neanche fossimo a Pandora.
E' l'esotico 2.0, ovvero una cornucopia di colori, linee e figure abbagliante e gelida. Essendo un film tedesco, non ci si aspettava certo un profluvio di passioni, ma qualche concessione in più alla sensualità rispetto al prototipo Disney sì. Invece nulla, con Tarzan e Jane che si scambiano fraterni abbracci e occhiate solo promettenti e mai solleticano una pulsione fuori posto, nemmeno mentre fanno il bagno insieme (lei conserva rigorosamente tutti gli indumenti) o quando lui le succhia dal braccio il sangue infetto dal morso di un serpente.
Molto più riuscita la prima parte - quella dell'apprendistato (tenero il rapporto con la madre gorilla) fino all'incontro con Jane - mentre la seconda (l'arrivo dei conquistadores) sembra appiccicata e serve a ribadire che in fondo anche questo Tarzan trasmigrato in Germania cerca solo famiglia. Il pubblico è avvisato.