Diciassette anni dopo Gizli yüz di Ömer Kavur, un film turco è in concorso alla Mostra di Venezia: Sut (Milk) di Semih Kaplanoglu. Secondo episodio della trilogia di Yusuf, iniziata lo scorso anno con il poeta 40 enne di Yumurta, il protagonista ora è un diciottenne, con il volto di Melih Selçuk, al fianco della madre, relazione in cui filtra il work in progress della Turchia, al bivio tra tradizione e innovazione, Oriente e Occidente.
Opposizioni, sovrapposizioni e metamorfosi in campo lungo che nel close up su Yusuf si fanno codice binario di "campagna e città, agricoltura e industria, collettivo e individuo, visibile e invisibile", come ha detto Kaplanoglu. E allora, long take e dialoghi risicati per mettere nel fuoricampo interno la Turchia che è, non è, e forse (non) vorrebbe essere.
Si scrive Turchia, si legge Yusuf, in bilico tra poesia e miniera, attaccamento materno e volontà di controllo filiale, salute privata e - letteralmente - dominio pubblico. Ma se il design globale cerca la sottrazione e la sospensione, le tappe intermedie divergono pericolosamente tra ellissi narrative e stalli di regia, con movimenti e inquadrature inutilmente straordinarie, pedanti iterazioni e la ricerca ostinata e infine capziosa del mistero.
Simboli che non si vogliono metaforici (Kaplanoglu dixit) e le volute ambiguità della storia di Yusuf finiscono per impadronirsi pure della sostanza poetica di Milk. Con la noia, ritorna un interrogativo, già sorto più volte per i titoli in Concorso: che avrà voluto dire il regista? E, soprattutto, che cosa è riuscito a dirci? E' un bicchiere di latte mezzo vuoto.