Un signor nessuno diventa una celebrità. Problema: non sa perché. Anzi, non ne ha la più pallida idea. In Concorso al Lido, il francese Xavier Giannoli ci serve la sua Superstar, affidata a Kad Merad, abulico, “banale”, “idiota” da copione. Che film è? Una fantascienza distopica poco fantascientifica e molto contemporanea, che porta all'ennesima potenza, quella dei social network e dei video su Internet, il quarto d'ora di celebrità già ecumenicamente concesso da Andy Warhol.
Un film discreto, parzialmente affossato dalla sua stessa struttura speculare, geometrica e cartesiana: il solito rise and fall, nonostante l'ascesa di Martin Kazinski (Kad Merad) non sia felice, ma coatta e coortata dal Sistema. Anzi, dalla gente: triste, “banale” appunto, senza famiglia né amore, eccetto il lavoro - metafora - di riciclaggio di componenti informatici con down e disabil, Martin una mattina si sveglia e senza un perché, suo malgrado si ritrova celebre, con la gente che lo immortala con gli smartphone, gli chiede autografi e lo bracca a tutto campo. Possono astenersi i mass-media? No, ed ecco la giornalista-produttrice Fleur Arnaud (Cecile De France, splendida) che lo porta in trasmissione affinché il “Perché?” di Martin abbia audience globale. Ed è triangolo “spettacolare” con il capo e amante di Fleur, Jean-Baptiste (Luois-Do De Lencquesaing), e il conduttore Alban (Ben) alternativamente demiurghi e ingranaggi di un meccanismo a orologeria (digitale) che spreme, mastica e, infine, sputa Martin.
C'è chi, Fleur, ha rovelli e deontologia nonc completamente letargica, chi lucra (Jean-Baptiste), chi ci smena e basta: Martin, che non vuole soldi, fama, niente, solo la sua “banale” vita precedente. Ma si può rinunciare alla fama? Ispirandosi al romanzo di Serge Joncour L'idole, Giannoli ci sguazza, mettendo spalle al muro, anzi, alle videocamere il povero Martin, capro espiatorio della collettiva smania di apparire così smaniosa da fregarsene della volontà individuale: volente o nolente, nasce la Superstar, che il regista espone a pubblico plauso, prima, e ludibrio, poi. Gogna mediatica, via crucis ultramondana, con un povero cristo assurto a divinità immaginifica. Poi, ancora senza un perché, il tracollo: collettivo desiderio di vendetta e, quindi, oblio.
Ebbene, il film ne risente, facendo della storia il racconto: Superstar si perde davvero nella banalità, buttando al vento qualche residua buona idea sui troll di Internet, il copia&incolla mediaticamente tradotto in mastica&sputa, la paradossale elegia del loser. Tutto mal digerito, con l'incongrua metamorfosi di Fleur, il deperimento di altri personaggi e quel buonismo consolatorio che tutto salva, fuorché il film. Peccato, ma rimangono in testa alcune buone battute: “Perché quando facciamo l'amore tieni la tv accesa? Se no vengo subito”. Ebbene, Superstar è un coitus interruptus.